Nella foto: Palazzo Madama. Foto di © Paul Hermans - Wikimedia Commons

Ascesa e caduta della legge contro “l’omotransfobia“

Con manifestazioni di giubilo sguaiato degno di tifosi durante un derby, la maggioranza al Senato ha salutato la caduta del disegno di legge presentato all’approvazione delle Camere dal deputato padovano Alessandro Zan, e detto brevemente ddl Zan. Hanno fatto eco lamenti e proteste dei suoi sostenitori, e qualcuno ha dichiarato davanti alle telecamere „Mi vergogno di essere italiano“. Un sospiro di sollievo devono averlo tirato in Vaticano, da dove avevano criticato il ddl Zan a tutto spiano fino a costringere il Presidente del Consiglio Draghi a rivendicare pubblicamente la laicità dello Stato.

Cosa c’era dunque, in quella legge fallita, che accendeva tanto gli animi?

Il contenuto della legge „contro l’omolesbobitransnafobia“ è la sintesi di vari disegni di legge di PD, M5S e FI e consiste nell’introdurre modifiche alla legge Mancino già in vigore, in base alla quale sono punite come crimini l’odio e l’incitamento all’odio „per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa“, aggiungendovi quali motivi pure la discriminazione fondata su „sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità“. Alcune di queste categorie sono andate a collidere contro una resistenza ostinata da parte di alcune forze politiche, prevalentemente di destra ma non soltanto. Si è gridato ad una minaccia contro la libertà d’opinione. La sinistra ha risposto che non è così, poiché la legge è formulata in maniera tale da distinguere fra l’esternazione della propria opinione, sia pur negativa, riguardo quelle categorie di persone, all’incitamento all’odio ed alla violenza contro di loro.

Questa distinzione è troppo vaga, replica la destra, e di fatto abbandona la decisione all’arbitrio del giudice. E la libertà d’opinione ha la precedenza: essa è un bene troppo prezioso per sottoporla a simili rischi. Allora, per mettere a tacere queste obiezioni, anche da parte di giuristi illustri, durante il passaggio alla Camera dei Deputati al ddl Zan è stato aggiunto l’articolo in base al quale „Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti ed opinioni, nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori violenti“. Però anche in questa formulazione apparentemente chiara, si può sollevare la questione vaga circa „l’idoneità“ di cui nel testo.

Non sono questioni di lana caprina

Per fare un esempio, secondo un’indagine d’opinione condotta dall’agenzia Ipsos, alla domanda: „Secondo Lei, affermare che una coppia omosessuale non possa adottare bambini…“, il 52% ha risposto trattarsi di una semplice espressione di opinione frutto della libertà di pensiero, mentre il 38% ha dichiarato trattarsi di una frase che può eccitare ad atti discriminatori e violenti nei confronti di omosessuali. Quindi la decisione se l’eventuale imputato si beccherà i 4 anni di reclusione previsti dal ddl Zan, dipende tutta dalla circostanza se il giudice appartiene a quel 52% oppure all’altro 38%.

Abbiamo qui a che fare, si chiede qualcuno, con un’imposizione del „political correct“?

Il problema nascosto dentro il ddl Zan era dunque il tentativo di contrabbandare una categoria come il gender alla stessa stregua di altre categorie obiettivamente riconoscibili. Quello che soprattutto suscita dubbi, è il fatto che nel testo della legge s’introduce l’identità di genere come categoria ufficialmente riconosciuta dallo Stato, alla pari della disabilità o della nazionalità, o dell’appartenenza a una religione. Ma la categoria di genere è basata esclusivamente su un sentimento soggettivo, individuale, di un’appartenenza sessuale. Può benissimo capitare che una persona con anatomia sessuale maschile si senta dentro di sé portato più a comportarsi da femmina, ma questo è solo un suo sentimento, non coinvolge altri. Mentre invece l’anatomia è una scienza seria fin dall’epoca di Cuvier, ed in base ad essa si usa distinguere il sesso di un individuo non solo umano, ma anche animale, e talora perfino vegetale. E serve anche per il riconoscimento ufficiale delle varie disabilità.

Pirandellanamente si potrebbe storpiare: „Uno è quello che lui si crede“. Ma questo obbliga anche gli altri centomila a crederlo? Ovviamente ognuno è libero di sentirsi come vuole (uomo, o donna, o bisex, o transex, o anche Napoleone, se gli va) ma non può pretendere per questo il riconoscimento di fatto da parte di altri, né men che meno di porli sotto costrizione giuridica a tal scopo (né rivendicare che lo Stato Francese lo seppellisca agli Invalidi).

Nel romanzo di Umberto Eco „Il pendolo di Foucault“ c’è un personaggio chiamato Diotallevi che è fissato con l’idea di essere ebreo perché „si sente ebreo“ – benché non lo sia affatto- e perciò pretende che i suoi colleghi lo riconoscano come ebreo; questi naturalmente se ne guardano bene, e quindi lo discriminerebbero in base alla legge Zan. Perché essi sarebbero obbligati a riconoscerlo per quello che si sente lui. Un altro scrittore, Emilio Salgari, si attribuiva il titolo di capitano, benché non avesse superato gli esami necessari, perché „si sentiva“ così, e con quel titolo voleva anche esser chiamato dagli altri.

Quello che si sta facendo è di porre il soggettivo al disopra dell’oggettivo in una legge ufficiale dello Stato. Allora, con questa logica, lo Stato dovrebbe riconoscere nella categoria degli innocenti anche persone come Totò Riina, semplicemente perché individualmente „si sentono innocenti“ e quindi per questo lo sono, a dispetto di tutte le prove oggettive presentate al processo? E poi cosa ne è di tutte le persone che invece „lo sentono colpevole“? Se in un villaggio sperduto qualche donna viene „sentita come strega“ dagli altri, lo è per questo?

Nella nostra epoca stiamo assistendo al ritorno della soggettività, talvolta distorta, che purtroppo viene riconosciuta da molti come una categoria di giudizio addirittura al disopra di quelle oggettive, che vengono lasciate da parte. Si parla di „empatia“. Il ddl Zan, così com’è, non tornerà mai più all’approvazione del Parlamento; però non si può escludere che in forma modificata e ripulita di tante pecche, possa un giorno venire approvato.

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