Nella foto: Rifugiati. Foto di ©Gerd Altmann su Pixabay

Con l’estate sono ripresi gli sbarchi

L’arrivo di un’estate da questo punto di vista “calda” come poche altre, si è delineata non solo nell’aspetto climatico ma anche in altri aspetti. Nelle ultime ore, infatti, la situazione è diventata ancor più critica di quanto già non fosse, tra navi Ong piene di migranti in attesa di attracco, hotspot e centri d’accoglienza al collasso, barchini e barconi che vanno e vengono senza posa nei porti del Sud del Paese, soprattutto in questo 2022, durante il quale tema dell’immigrazione sembra essere stato dimenticato da media e politica. Come ormai avremmo dovuto imparare, però, il fatto che di una cosa non si parli non vuol dire che quella tal cosa non esista. Anzi, a volte è l’esatto contrario, come ci raccontano i dati relativi agli sbarchi che avvengono nel nostro Paese raccolti quotidianamente dal Ministero dell’Interno e consultabili nel dettagliatissimo “cruscotto statistico” presente sul sito del Viminale.

Leggendo il report, infatti, risulta subito evidente come questo 2022 rischi di essere un “Annus horribilis”: dal primo gennaio all’inizio di agosto, sono già sbarcate sulle nostre coste oltre 40.000 persone (42.039 per la precisione, di cui solo circa 8.000 provenienti da zone di guerra o carestia), ben oltre numero di sbarchi avvenuti nello stesso periodo del 2021 (circa 29.912 unità) e il triplo di quelli registrati nel 2020, quando arrivarono “appena” 14.406 migranti. Emblematici a questo proposito sono i numeri riferiti ai singoli giorni, i quali restituiscono a chi vuol vedere un quadro ancor più fosco e far capire come la migrazione di queste persone è dovuta solo ad altri fattori e non al bisogno di scappare da guerre o carestie.

Da qui allora l’importanza, per quanto riguarda il continente africano in modo particolare, di uno sviluppo diverso che viene spesso citato nelle dichiarazioni di intenti dei grandi organismi internazionali, ma i risultati sono quasi sempre inferiori alle attese, limitandosi a pochi interventi di carattere assistenziale. In questo quadro povero di progetti concreti, va vista con favore un’iniziativa italiana che punta, invece, ad un significativo intervento di carattere strutturale: quello di sollevare i Paesi africani dal macigno del debito pubblico, che si avvicina ormai al preoccupante livello di mille miliardi di dollari, con tutte le difficoltà del caso (non dimentichiamo che ad esempio la Francia ha il controllo del patrimonio, grazie al franco cfa (delle colonie francesi d’Africa) l’ultima moneta coloniale ancora in vigore nel mondo, di circa 20 paesi africani, ed anche se è stato approvato un disegno di legge per eliminare il franco francese per non far parlare altri paesi europei di colonialismo ancora in atto nel terzo millennio, il progetto non sembra portare a un reale cambiamento di rotta negli squilibrati rapporti economico-monetari che continuano a sussistere tra la Francia e alcuni paesi africani).

La proposta italiana è stata denominata “Release G20” ed è stata presentata da un gruppo di Ong italiane impegnate nella cooperazione internazionale, con il coordinamento dell’organizzazione “LINK2007” avente sede a Milano. Secondo i promotori di “Release G20” sarebbe necessario riconvertire parte del debito africano in investimenti in valuta locale, finalizzati al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile approvati dall’Agenda 2030 dell’ONU.

Tale riconversione, oltre ad alleggerire il peso del debito, favorirebbe l’avvio di investimenti produttivi destinati ad avere importanti ricadute positive in un arco temporale di medio-lungo termine. Un parere favorevole è stato espresso da Marina Sereni, Viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale del Governo Draghi, secondo la quale “ridurre il debito dei Paesi più poveri è una sfida cui l’Italia non si sottrae, soprattutto ora che, con la crisi da Covid-19, diventa sempre più difficile, in particolare in Africa, perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’ONU”, ed aggiungiamo: non solo la crisi scaturita dal Covid-19 ma ora anche dal “Vaiolo delle scimmie”, che si è propagato in tutto il mondo.

Inoltre, bisogna anche dire che dobbiamo stare anche attenti a non confondere la causa con l’effetto: non sono gli stranieri in quanto tali a creare situazioni di rischio, ma è piuttosto la condivisione di spazi ristretti in condizioni precarie e di scarsa igiene a facilitare la diffusione dei contagi. Ibrahim Mayaki, responsabile dell’Agenzia per lo Sviluppo dell’Unione Africana, ha sostenuto, a sua volta, che “la riconversione del debito potrebbe aiutare l’Africa a perseguire gli obiettivi dell’ONU in tutti i settori chiave: per questo motivo la proposta “Release G20” riveste un ruolo fondamentale”. Mentre Roberto Ridolfi, presidente di LINK2007, ha sottolineato che la riconversione del debito in investimenti produttivi, finalizzati alla ripresa post Covid-19, risponderebbe anche ad una importante prospettiva di natura politica: quella di promuovere la cooperazione internazionale attraverso la programmazione di progetti di sviluppo caratterizzati dai principi dell’equità e della sostenibilità. In fondo si spera che il caldo – sotto tutti i punti di vista – venga meno per il prossimo autunno, affinché si possa respirare più aria fresca.

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