Consigli di lettura

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La chimera della vita

Daniele Messina

Incredibili dictu, ma vero: in molti corsi di scrittura i migliori allievi sono quelli che provengono dagli studi scientifici. D’altro canto, Italo Calvino ribadiva che il migliore scrittore di prosa della letteratura italiana fosse Galileo Galilei.

E così non dovremmo meravigliarci che molti dei migliori scrittori italiani si basino su una solida cultura scientifica: basti pensare a Gadda (ingegneria elettronica), a Primo Levi (chimica industriale), a Carlo Levi (medicina), a Paolo Giordano (fisica) e allo stesso Calvino (scienze agrarie). Così non dovranno meravigliarci gli autori del romanzo di cui ci occupiamo.

„Il volo delle chimere“ di Flavio Ubaldini e Spartaco Mencaroni (Ed. Scienza Express, ISBN 978-88-969-7371-4), entrambi italiani residenti in Germania.

Il primo è originario del Lazio, sottoregione Sabina, ed è laureato in matematica, musicista diplomato in uno strumento difficile come il trombone. Ed è anche autore di un altro romanzo ambientato nelle cerchie die pitagorici nell’antica Grecia ed intitolato „Il mistero del suono senza numero“. Mencaroni invece è toscano d’Arezzo, è laureato in medicina con specializzazione in medicina preventiva.

Il loro romanzo a due mani ha pure due protagonisti differenti, con due storie personali senza alcun intreccio reciproco e diversissime, due combattenti che non s’incontreranno mai, ma comunicano fra loro soltanto su internet con gli pseudonimi di Orfeo e Chimera. Linda è una ricercatrice scientifica che fa un anno di tirocinio in un grande laboratorio di biologia molecolare a Tel Aviv. Fosco è invece un malato di leucemia linfatica acuta ricoverato in un ospedale tedesco. Entrambi si trovano rinchiusi in un ambienti a loro profondamente estranei e per di più stranieri. Linda, che ha accettato quel posto per sfuggire alla sua situazione familiare, non sa l’ebraico e può comunicare solo in inglese con i compagni del gruppo di ricerca; l’unico che le sta istintivamente simpatico è il sorvegliante Davide, proveniente dal ghetto di Roma, che sa pure cucinare le penne all’arrabbiata. Fosco, dal canto suo, sballottato da un letto all’altro, talora in compagnia sgradita, non ha conoscenza di questioni mediche e deve accettare con sopportazione tutte le diete ed i vari trattamenti a cui viene sottoposto; che gli vengono bensì spiegati ma che lui non capisce lo stesso. Linda ci mette del suo meglio per adattarsi alla vita in quello strano paese che è Israele, ma alla fine deve arrendersi davanti alla sua alterità culturale, e sprattutto davanti alla crudele spirito di concorrenza dentro il suo gruppo.

Linda ha la pelle troppo sottile, e dopo molte esperienze negative sia sul piano professionale che su quello umano, getta la spugna e abbandona il campo, mentre invece il pachiderma Fosco con molta pazienza riesce alla fine a vincere il suo morbo. Entrambi fanno ritorno in Italia, un vincitore ed una perdente, dopo aver vissuto un’esperienza di vita che li ha maturati. Poiché le esperienze negative possono maturare la personalità meglio di quelle positive, trasformandosi alla lunga in un successo anche se non in una vittoria vera e propria. Così la lettura di questo romanzo risulta particolarmente attuale in questa epoca di pandemia e per chiunque abbia vissuto l’esperienza estraniante di „essere gettato“ in un ambiente sconosciuto, e come vi si può confrontare con successo.

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