Foto di Marc Rickertsen - Pixabay

Chi volesse mettere in pratica la concezione di un teatro popolare da un capo all’altro dell’Europa e volesse ritrovare le ragioni che spinsero Herder, Vico, Goethe, ma anche Pitrè e Salvatore Salomone Marino, a ipotizzare una “Letteratura” europea e una cultura europea popolare, da Amburgo a Siracusa; da Venezia a Francoforte; da Torino a Vienna; altro non avrebbe che rileggere la storia della cultura delle marionette, dei burattini e dei pupi, che gli autori or ora citati hanno via, via ricostruito in relazione a miti, leggende e saghe, a loro volta partecipi della cultura italo/tedesca medievale da Palermo a Monaco fra l’anno mille fino al secondo millennio. Erano infaticabili ricercatori dei valori comuni in aree così lontane, ma non furono soli: anche uno storico positivista di metà secolo, Otto Hartwig di Halle ed una piccola maestrina di Messina, Laura Gonzenbach, siciliana di origine germanica, a metà ‘800 collaborarono nella ricerca delle fonti storiche sulla Sicilia Normanna e Sveva dall’11° secolo al 12° secolo, risalendo alle fonti prima mitiche e poi alle cronologie storiche.

Di fatto, però, fu il Teatro delle Marionette a dare pratica vita a tali fonti, a farli divenire così popolari fino alle ricerche più scientifiche, mentre nel contempo tali leggende trasmigravano nei cartelloni dei cantastorie ai crocicchi delle strade di campagne e nelle piazze dei borghi tedeschi e siciliani. Dopo, vi fu una tradizione successiva che non solo fece da ponte fra i papiri medievali e le cantate popolari, ma che riassunse tale letteratura, il terreno su cui germinarono ipotesi di verità che fecero la storia e le cronache, rischiando però di mischiare il vero dal falso. Fu il caso degli eroi popolari, prima briganti e poi personaggi che assunsero un livello di santità laica, dove la differenza fra giustizia e legalità, veniva fagocitata dalle forme di cambiamento sociale invocate per colmare le ineguaglianza secolari, come nel caso di Garibaldi e di Salvatore Giuliano. Tale tradizione – fra quella dei meri amanuensi medievali fino ai cantastorie di strada a metà ‘800 – produsse un nuovo Teatro delle Marionette, nella cui elaborata revisione la tendenza a tramutare un bandito di strada a un eroe popolare, venne spesso corretta e riadattata, riletta e riveduta per secondare gli interessi delle classi popolari, raffinandone la sete di giustizia attraverso un estetica più storicamente attendibile. Quasi un un cinema popolare che spiegava le storiche differenze sociali che la parola scritta non era stata sufficiente a diffondere e a motivare, spesso attardata a difendere le classi governative favorevoli ad un teatro di maniera, sordo alla domanda di rinnovamento sociale che in tale sede stava emergendo.

È la tradizione della notissima arte della marionetta, addirittura certificata come esistente all’epoca della prima stesura del “Faust” di Goethe (1773 -1775). Infatti, il Vate di Weimar, nell’intervista rilasciata al discepolo Eckermann del 1823, ricordava come fosse stato influenzato dalla vicenda del prof. Faust assistendo nel parco della sua città alla recita per marionette dell’opera cinquecentesca di Christopher Marlowe, un autore dell’Inghilterra elisabettiana, non si sa se maestro, o forse pseudonimo di Shakespeare. Già in quell’epoca – ma di sicuro esistente fin dall’Umanesimo, come prova la famosa leggenda del “Till Eugenspiel” – il Teatro delle Marionette circolava in modo itinerante sulle piazze della Germania, rappresentando non solo la figura di Faust e il suo patto col diavolo, ma anche i poemi cavallereschi, tema già in comune con la cultura popolare siciliana fin dai tempi dei Normanni. Forse a sentire l’Hartwig e la Gonzenbach, era nata nell’isola all’epoca della riconquista cristiana poco prima dell’anno 1000, nella guerra contro gli Arabi, nonché ulteriormente perfezionata in età barocca con l’avvento delle maschere della commedia dell’arte.

Ancora oggi, a Magdeburgo, a Lubecca, a Monaco di Baviera, ad Augsburg , troviamo interessantissimi musei di marionette, dove il controllo avviene dall’alto con filo o corda a seconda delle singole aree culturali.

Gli studiosi e la relativa pratica distinguono fra “burattino”, “marionetta” e “pupo”. Il primo presente soprattutto in Germania, ma diffusosi anche a Napoli, era un fantoccio a testa di legno, con una veste di stoffa a campana ed è direttamente manovrato con le mani a forma di guanto dal burattinaio (da cui derivano varie situazioni traslate politicamente nella nostra realtà sociale). La seconda, di origine francese, era inserita in una vicenda di storia sacra e quindi ritraeva le “Marie”, figure portate in processione a Lione e poi a Venezia, spesso rievocative di rapimenti e liberazioni dai pirati barbareschi. Il fantoccio era un completo di legno, con braccia e gambe, manovrato da fili che partono dall’alto. Infine il pupo era di matrice del tutto siciliana. Ha le forme di un bambino, è animato da bacchette di ferro e da cordicelle che favoriscono i movimenti. Ha corazza, spada, simboli che ricordano i Cavalieri di Carlo Magno (da qui, le notate radici nordeuropee per il genere cavalleresco). È raffigurato con vesti medievali, ha uno scudo con stemma da cui risalire alla famiglia di appartenenza, palermitana, napoletana, perfino siracusana e catanese. Nondimeno ha caratteri tecnici altrettanto comuni in Germania ed in Austria.

Storicamente rilevante è la forma della compagnia perché di natura esclusivamente familiare. Dell’immenso panorama di consorzi familiari di burattinai che in età moderna hanno attraversato la Germania e i paesi di lingua tedesca, divenendo stanziali solo a metà dell’800, spiccano due gruppi familiari, quello di Paul Brann a Monaco e quello di Anton Aicher a Salisburgo nell’ultima parte dell’’800 e, più o meno nello stesso periodo, quello che a Siracusa fece capo a Francesco Puzzo. Questi, al pari del suo emulo Paul Brann, alle origini raccolse in modo organico testi popolari che i cantastorie di allora facevano circolare di paese in paese, richiamando numerosi spettatori nel suo teatrino, ignoranti ma entusiasti di come riusciva nel manovrare i pupi, nelle sua ampia e variegata capacità di doppiare i Paladini, accentuando – come ci dice il Pitrè – la semplicità e il senso poetico, ma anche la creatività popolare dell’isola. Le fonti storiche ci descrivono come questa fosse valicata da teatri itineranti di pupi, oppure di sede fissa (se ne hanno traccia a Noto, Sortino e Lentini, mentre negli altri paesi del sudest siciliano, comparivano compagnie di pupari girovaghi nella numerose feste religiose dell’anno).

Francesco Puzzo

Il Puzzo era scultore, decoratore, sceneggiatore e regista della commedia, è già nel 1877 creò un pupo alto 80 cm. con armatura di latta, fino ai primi dell’’900 dove apparivano pupi più alti in bronzo e poi in cartapesta. Il testo guida, frutto di una vasta interpolazione degli stessi manoscritti dell’Ariosto e del Tasso, fu “Il Guido di Santa Croce”, un florilegio di leggende che andava dai Cavalieri della Tavola Rotanda, fino alla cavalleria di Carlo Magno, con Orlando, Rinaldo, Angelica, Marfisa, Clorinda e non pochi personaggi di lingua araba, fino a comprendere il feroce Saladino e il superbo guerriero Ferraù. Nella vecchia Ortigia si contano varie sedi di quel glorioso teatro e di quel manipolo di manovratori che negli anni ‘80 dell’’800 incantarono sia il Pitrè che lo storico Salvatore Salomone Marino e la stessa Gonzenbach, che ne fecero memoria in Germania, sbalordendo come si disse lo stesso Hartwig che nei suoi studi etnografici rinvenne straordinarie somiglianze con le saghe della Germania del Nord e che permisero al giovane Brann una formazione completa nel settore, che lo stesso aveva elaborato secondo lo stile wagneriano della totalità dell’opera d’arte, tanto da essere prima scrittore, poi attore e infine burattinaio, ma anche scenografo e musicista.

Paul Brann

Dopo un’intensa preparazione culturale classica e romantica nel suo paese – la Slesia, territorio di confine fra Prussia, Polonia e Russia – Paul si stabilì a Monaco poco più che trentenne, studiò con attenzione lo “Jugendstil” e fondò nel 1906 il palazzo dell’arte teatrale delle Marionette. Impresario, produttore, direttore, coreografo e regista della “nuova marionettistica” tedesca. Con stile del tutto inedito, ottenne la collaborazione di non pochi artisti espressionisti dell’epoca, adattando il Teatro delle Marionette classico ai temi del presente, rappresentando con tali figure il drammatico, il comico, la satira e il picaresco.

Creò quindi nuovi manoscritti, con pupi dipinti dal contemporaneo Ignatius Taschner e colorati fondali, disegnati da Jakob Bradl, dal fumettista Leo Pasetti e del nuovo caricaturista norvegese Olaf Gulbransson; realizzazione che egli approvava prima della messa in scena nel tradizionale castelletto di legno che costituiva il tradizionale palcoscenico. Nelle sue continue trasferte a Vienna nel primo dopoguerra, avviò un sodalizio culturale con il grande umorista Karl Kraus, da cui apprese il metodo di sintetizzare le opere liriche più famose, passando da Mozart a Wagner, da Verdi a Offenbach, accompagnando le mosse dei fantocci con la sua voce tenorile (e forse questa tecnica vocale, antesignana del doppiaggio cinematografico, impressionò il nostro Ciccio Puzzo, famoso per le sue spacconate sul palcoscenico attribuite a Orlando e Rinaldo). Fu anche capace di rappresentare il nuovo teatro espressionista, da Piscator a Brecht, dai quali rese originali interpretazioni legate alla tecnica rituale dei movimenti; marionette che sul palcoscenico vero e proprio divennero attori, con gesti sincopati atti a significare una certa dipendenza da un burattinaio invisibile che li dirigeva dall’alto, in armonia alla poetica del destino immodificabile proprio del teatro moderno di Pirandello e di Rosso di S. Secondo. Non poteva il poliedrico Brann escludere il genere cabarettistico, tanto da ripetere quelle forme teatrali in materia politica, dove la tragedia diventava il regno dell’ironia e della satira. Poi la fuga nel 1934 a Oxford, inseguito dai nazisti perché ebreo, ma anche perché aveva osato buffoneggiare Hitler e compagni in veste di pupo dove il burattinaio era il ricco e grasso borghese industriale, conservatore e guerrafondaio, affossatore della repubblica di Weimar. In varie tournée in Gran Bretagna portò in giro le maschere popolari di Kasper e di Till, nonché il “Pipistrello” di Strauss, mettendo in ridicolo la cultura classica tedesca e la borghesia della nuova Germania Federale, ma anche la classe comunista dello Stato orientale. Inoltre, la figura di Goethe appariva grottescamente come quella di uno stregone il cui apprendista era un Hitler scappato di mano al suo padrone. Erano le “marionette magiche”, dove la famiglia Brann dava voce e movimento a tutte le criticità delle società capitalista del dopoguerra in Europa, una riedizione in forma di burattini delle commedie del nostro Eduardo che proprio negli anni del secondo dopoguerra ci mostrava nel suo teatro napoletano la vita tragica dell’Italia repubblicana degli anni ‘50.

E oggi?

A Siracusa, a Sortino, a Randazzo, a Palermo e a Catania, continua la tradizione, con frequenti riferimenti alle vicende attuali. A Siracusa é erede dei Puzzo la famiglia Vaccaro – Mauceri: un teatro classico di pupi siciliani e un prezioso gioiello che si snoda in tre tappe, il Piccolo Teatro dei Pupi, la bottega del Puparo e al Museo aretuseo dei Pupi, un percorso che qui possiamo appena accennare e che però meriterebbe un’attenta analisi di storici ed etnografi europei, utilissima a ricreare quel medesimo sentire culturale e continentale profetizzato dal laico Goethe sul finire della sua vita. In Germania, si è detto di Monaco, dove la scuola di Paul Brann continua, senza contare il lavoro costante di Fritz Fey, che nel suo splendido Museo delle Marionette a Lubecca, colleziona da tutto il mondo marionette, burattini e pupi, mescolando la propria abilità di cinematografaro alla tradizionale tecnica marionettista. Dopo tre anni di attività Fritz e la moglie hanno fondato una Fondazione sotto l’egida dell’Unesco e conta più di un milione di visitatori sugli ultimi anni. Dopo il plurisecolare matrimonio col teatro classico, con quello moderno e con il cinema, quando il matrimonio con internet?

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here