Ci sono popoli, in remoti villaggi, invisibili al mondo: vivono al di fuori del PIL del loro Paese. Sono braccati da compagnie energetiche e telefoniche perché producano fatturato e si inseriscano nel “sistema”. E noi? Nel suo ultimo libro Raffaella Milandri parte dalla cultura dei popoli indigeni, che ben conosce, e da una conversazione, emblematicamente fuori da un McDonald’s, con Jesus, un senzatetto di New York, per lanciare un appello e un invito alla rivoluzione.

Come è nata l’idea del libro?

Il mio libro nasce dalla esigenza di fare un appello al lettore, a fermarsi un attimo e riflettere. Una persona appena lo ha finito di leggere mi ha chiamato e mi ha detto che è un bello “schiaffone”. Sì, ho voluto dare una scossa, per far comprendere che non possiamo vivere in case affollate di oggetti inutili, e affannarci solo per guadagnare e poi spendere denaro. La mancanza di un senso profondo alla nostra vita ci sta conducendo a uno svuotamento di ideali, e dall’altra parte a una profonda crisi ambientale che sta distruggendo il Pianeta. Viaggiando per diversi angoli di mondo, e in particolare raffrontandomi con diverse culture, e diversi stili di vita lontani dal nostro parossismo consumistico, mi è venuto spontaneo cogliere i vari aspetti della globalizzazione e trarre ispirazione dai veri “ambientalisti”, i Popoli Indigeni. Gli “Ultimi Uomini”, come li chiamo io.

Perché il consumismo, è, secondo te un pericolo?

Il consumismo è un pericolo grandissimo, le cui conseguenze sono disastrose. Comparare il benessere di un Paese alla crescita del PIL vuol dire dover produrre, acquistare, vendere sempre di più, e indurre i consumatori -che non sono più persone ma numeri- a desiderare un appagamento attraverso il possesso di oggetti materiali, che però è un pozzo senza fondo che crea solitudine, disparità sociale, inquinamento e sfruttamento della manodopera minorile, e non solo. Un esempio: i cellulari.

Al giorno d’oggi è possibile vivere liberi di non comprare?

Non è possibile, a meno che non si diventi barboni come Jesus, che dialoga con me in alcune parti del libro. Siamo etichettati, codificati e anche mentre dormiamo spendiamo: bollo dell’auto, bolletta della luce, tasse sui rifiuti. Il sistema sa tutto di noi, recentemente ho compilato un modello per l’ISEE e onestamente non immaginavo di essere schedata così radicalmente. Liberi di non comprare non parla di uno stile di vita ma di un diverso modo di pensare che si può applicare prima di tutto evitando di acquistare il superfluo, di accumulare scorte di oggetti in serie, e dedicandosi di più alla propria persona, alla cultura, al benessere fisico. La libertà può essere rinuncia: se non possiamo comprare tutto ciò che vogliamo, possiamo però rinunciare a determinate cose ed essere vittoriosi. Una sorta di dieta del consumatore

Quali sono le difficoltà per chi decide di seguire questo approccio?

Il confronto con gli altri. Avere, possedere, crea discriminazione sociale. Con ciò che si possiede, con l’abbigliamento, l’auto, il cellulare, ma anche con un bel seno “rifatto” si vuole essere simili agli altri per non essere emarginati, ma al tempo stesso anche migliori. Omologarsi per poi cercare di distinguersi ed emergere dalla massa. E così si diventa “emarginatori”.

Come è possibile applicare questa impostazione di vita al giorno d’oggi?

Bisogna infischiarsene ed essere capaci di andare per la propria strada, anzi bisogna vantarsi di essere su un percorso diverso: dire “io compro sostenibile”, ovvero compro solo quello che mi serve contro gli sprechi che rendono povere altre persone. Se io mi vesto sempre trendy, all’ultimo grido, automaticamente dalle amicizie allontano persone che non ne hanno la possibilità e che vestono modestamente. Creo un disagio. Se io vado nei ristoranti di lusso, automaticamente emargino gli amici che non ne hanno la possibilità. Bisogna cambiare stile di vita per l’ideale di una società migliore che non sia sotto il simbolo del denaro.

Nel tuo libro ha anche interventi e saggi di esperti. Qualche commento su ognuno di essi?

Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alla stesura del mio libro. Amo molto la analisi storica del Prof. Barbagallo, che è spietatamente lucida e obiettiva. Le parole di Renzo Paris ci fanno vivere un Pier Paolo Pasolini che cinquanta anni fa vedeva il nostro futuro e ne era inorridito. Job Morris, del popolo dei San, ci fa vivere il passaggio da una vita semplice nella natura a quella dei consumi, in pochissimi anni e senza filtri. Sono tutti importantissimi contributi.

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