„La dignità dell’uomo è inviolabile”. Inizia con questa celebre frase l’art. 1 della Costituzione tedesca, il Grundgesetz. Una frase che quasi tutti i cittadini tedeschi conoscono e citano spesso quando discutono di temi attinenti alla giustizia o, in senso lato, alla politica. Una frase, questa, che senza dubbio esprime con veemenza tutta la volontà politica dei padri della Costituzione nel prendere le distanze dal periodo più buio del popolo tedesco, il periodo del Terzo Reich.

Ma questa è soltanto una piccola sembianza dell’articolo portante della Costituzione tedesca.
Dietro al (e soprattutto nel) concetto di dignità c’è tutto un impianto, un sistema, un pensiero filosofico che, addirittura, risale a Pico della Mirandola, per poi passare attraverso il concetto di dignità di Kant e finire ad Hanna Harendt. Pochi, tuttavia, riescono a definire il concetto di dignità.

Cos’è, in fondo, la dignità dell’uomo? E, soprattutto, quando viene violata dal punto di vista giuridico?

Se lo Stato, ad esempio, sanziona con la pena di reclusione chi commette un reato grave, viola la dignità dell’imputato che è stato condannato? Il carcere, ovviamente, è la più netta e pesante sanzione che uno Stato democratico (che non accetta la pena di morte) può infliggere ad un cittadino: lo priva, difatti, della sua libertà.

Ma il carcere, allo stesso tempo, rappresenta anche una violazione della dignità dell’uomo?

La risposta dev’essere “no”, anche perché altrimenti in Germania non esisterebbero i carceri. Ma questa non può valere come spiegazione. La risposta esatta, infatti, è “dipende”: se il condannato in carcere viene trattato come un soggetto di diritto, se gli viene riconosciuto ad esempio il diritto di vedere sua moglie, suo figlio oppure di telefonare con loro regolarmente, lo Stato non viola la sua dignità. Se, invece, è costretto a vivere in una cella di 3 m², in condizioni igieniche pietose e senza alcun contatto con la sua famiglia, lo Stato non lo riconosce come soggetto.

La violazione della dignità umana, infatti, inizia lì dove lo Stato tratta un cittadino come oggetto di diritto: se lo Stato riduce un uomo ad un mero oggetto, l’art. 1 della Costituzione tedesca lo ammonisce.

L’art. 1, infatti, è l’unico articolo relativo ai diritti fondamentali che il legislatore non può cambiare o, addirittura, abolire (vedi art. 79 comma 3 del Grundgesetz).

E quando, tipicamente, lo Stato riduce ad oggetto un uomo?

Un tipico caso di violazione dell’art. 1 è il seguente: nel 2002 lo studente Magnus Gäfgen sequestra il figlio di otto anni di un noto banchiere di Francoforte sul Meno, il piccolo Jakob von Metzler. Dopo l’arresto di Gäfgen – il ragazzino non era ancora stato ritrovato – i poliziotti lo sottoposero ad un asfissiante interrogatorio per scoprire dove fosse Jakob. Dopo qualche ora, il presidente della Polizia di Francoforte, Wolfgang Daschner, ordinò di torturare Gäfgen per far sì che l’indagato indicasse il luogo del sequestro. Il commissario Ennigkeit, a quel punto, eseguì l’ordine e minacciò Gäfgen giurandogli di fargli sentire “forti dolori” che non avrebbe mai più dimenticato in tutta la vita. La Corte federale di Karlsruhe ha stabilito che minacciare con la tortura equivale a torturare: la tortura, in senso stretto, rappresenta la negazione della dignità umana dell’indagato, in quanto lo Stato non lo riconosce più come un soggetto di diritto, assoggettandolo fino a negarne l’esistenza come portatore di diritti. In altre parole: uno Stato che tortura un criminale è esso stesso criminale. Gäfgen, tuttavia, fu condannato all’ergastolo: il piccolo Jakob, infatti, venne ritrovato morto. Era stato ucciso da Gäfgen poco prima dell’arresto. Ma anche il presidente della Polizia Daschner e il commissario furono condannati (rispettivamente ad una sanzione pecuniaria con relativa condizionale di un anno). Questo caso fece esplodere un’accesa discussione:

può uno Stato torturare per salvare la vita di un cittadino?

La risposta della Corte Costituzionale fu chiara e indubbia: no. Uno Stato non può violare la dignità umana, neanche quella di un cittadino che commette un reato. Costi quel che costi.

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here