Nella foto: La stele dedicata ai caduti nella lotta contro la mafia. Foto di ©Daniele Messina

A lezione da Giovanni Falcone

La fenomenologia mafiosa è complessa. Le mafie, in linea generale, si collocano in una sfera profonda della società: in questo senso le mafie non potrebbero esistere se non intrecciandosi con sfere del potere più visibili e formalizzate – come ad es. la politica, l’economica e le istituzioni – concretizzandosi addirittura anche in gruppi che assumono le funzioni di pubblica sicurezza, garantiscono transazioni, levano tributi.

Nel prologo alla prima edizione del 1991 del saggio “Cose di Cosa Nostra” di Giovanni Falcone, basato su una serie di interviste della giornalista Marcelle Padovani, ne troviamo una conferma: “La mafia sistema di potere, articolazione del potere, metafora del potere, patologia del potere. La mafia che si fa Stato dove lo Stato è tragicamente assente. La mafia sistema economico, da sempre implicata in attività illecite, fruttuose e che possono essere sfruttate metodicamente. […] Il contenuto politico delle sue azioni ne fa, senza alcun dubbio, una soluzione alternativa al sistema democratico”. Queste affermazioni sembrano evidenziare soprattutto come le mafie siano – per l’appunto – un potere; un potere in quanto regolano da un lato i rapporti di forza tra gli affiliati e gli altri membri delle organizzazioni e, dall’altro, anche se non sempre in maniera esplicita, il rapporto tra chi fa parte delle organizzazioni mafiose ed il resto della società (cittadini e rappresentanti dello Stato).

Le mafie, tuttavia, esercitano il loro potere non solo accanto, vale a dire “parallelamente” allo Stato, ma anche e soprattutto nello Stato. In altre parole: sfruttano le istituzioni, se ne servono e, non di rado, approfittano della loro fragilità e mancanza di autorità. C’è addirittura chi – come il giurista Santi Romano già nel lontano 1917 – tende ad identificare nella mafia un ordinamento giuridico autonomo (teoria che ammette la pluralità degli ordinamenti in una società). Giovanni Falcone in “Cose di Cosa Nostra” taglia corto: “il dialogo Stato/mafia […] dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti Stato, ma piuttosto una organizzazione parallela che vuole approfittare delle storture dello sviluppo economico, agendo nell’illegalità”.

Seguendo il filo del pensiero di Giovanni Falcone possiamo affermare che Cosa Nostra e le altre organizzazioni mafiose, dotate di una macrostruttura di potere, di un popolo militante, di un sistema normativo ed apparati organizzativi, devono essere inquadrate tra i poteri all’interno della società, anche al di fuori dello Stato (extra-statuali). La loro peculiarità sta, tra l’altro, nella segretezza e nell’esercizio del potere sotto forma di violenza (diretta e indiretta). Falcone in “Cose di Cosa Nostra” c’insegna, soprattutto, che si tratta di macrostrutture di potere dotate di plurisoggettività, sistemi organizzativi e di sistemi normativi (ovviamente non scritti).

La cosiddetta plurisoggettività è rappresentata dall’insieme degli uomini d’onore delle varie famiglie, che ammontano a diverse migliaia. Lo “status” di affiliato della mafia si acquista, infatti, solo in seguito ad un rigido controllo tendente a verificare l’affidabilità e l’attitudine criminale del reclutando.

Le mafie come strutture organizzate è, ormai, un’asserzione consolidata grazie ai collaboratori di giustizia, che hanno permesso di ricostruire e comprendere la struttura unitaria e gerarchizzata delle varie organizzazioni criminali. Si tratta chiaramente di una descrizione del fenomeno mafioso risalente alle rivelazioni dei “pentiti”, a cominciare da Tommaso Buscetta.

E, infine, l’esistenza di un vero e proprio sistema normativo che regola le varie componenti dell’ordinamento criminale: vi sono norme relative ai soggetti, ai membri, agli affiliati (regole ad es. sui rituali d’iniziazione). In questo senso – citando Giovanni Falcone – “è norma che il figlio di un uomo d’onore ucciso da Cosa Nostra non possa essere accolto nell’organizzazione cui apparteneva il padre […]”. Vi sono, poi, norme sulla organizzazione (norme che definiscono la struttura dell’organizzazione stessa e le funzioni al suo interno): norme organizzative su cui si innestano dal tradizionale obbligo di fedeltà e obbedienza ai capi sino al codice dell’omertà. E poi vi sono norme relative al potere di “legiferare” all’interno dell’organizzazione criminale, cioè norme che stabiliscono come si debbano produrre le norme dell’ordinamento criminale: così – stando alla ricostruzione risalente a Tommaso Buscetta – era la Commissione regionale, composta da tutti i responsabili provinciali di Cosa Nostra, ad emanare i “decreti”, votare le “leggi” (come quella che proibisce in Sicilia i sequestri di persona) e risolvere le controversie tra le province.

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