Nella foto: Anziani. Foto Pixabay

Rubrica a cura dei patronati Acli Germania, Inca Cgil e ItalUil

Orientarsi all’interno della giungla di normative che regolano il diritto pensionistico in Italia appare un compito sempre più arduo. Una seria e strutturata revisione della riforma Fornero del 2011 tarda ad arrivare, e molti dei lavoratori e delle lavoratrici che ogni giorno si rivolgono ai patronati sono sconfortati ed avviliti dalla mancanza di certezze che ne deriva.

La situazione, ormai paradossale, è che chi si avvicina alla pensione si confronta con condizioni che cambiano di anno in anno. La manovra economica varata dal governo, al momento, sembra aver peggiorato alcuni percorsi. In più, stando perlomeno alle bozze della legge di bilancio che dovrà essere messa ai voti in parlamento, il restringimento dei criteri per accedere al pensionamento anticipato penalizza fortemente i lavoratori e le lavoratrici che compiono questa scelta. Queste penalizzazioni agiscono sia dal punto di vista del calcolo di pensione, ora per quota 103 totalmente contributivo, sia nei limiti imposti all’importo per il periodo di anticipo pensionistico, che non può superare quattro volte il trattamento minimo.

In attesa allora dell’approvazione della legge di bilancio, da svolgersi entro il 31 di dicembre, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sullo stato attuale delle normative in materia pensionistica.

Innanzitutto bisogna distinguere tra due sistemi di calcolo, quello retributivo o misto e quello contributivo. Si tratta di metodi molto diversi fra loro, e il passaggio da uno all’altro penalizza finanziariamente i pensionati attuali e futuri, ragion per cui si applica una graduale transizione attraverso l’uso del sistema misto.

Prima di analizzare i vari tipi di pensione è importante sottolineare che per ogni tipologia si può utilizzare anche la contribuzione versata all’estero in paesi della UE o in paesi che hanno stipulato convenzioni in materia di sicurezza sociale con l’Italia, purché non coincidenti. Inoltre è sempre richiesta la cessazione del rapporto di lavoro.

La pensione di vecchiaia nel sistema retributivo o misto interessa coloro che abbiano maturato almeno un contributo prima del 1° gennaio 1996. In questo caso, posta a partire dal 1° gennaio 2018 la parificazione dell’età pensionabile tra uomo e donna, si potrà andare in pensione nel biennio 2023-24 al raggiungimento di 67 anni d’età e 20 di contributi (con un abbassamento di alcuni mesi dell’età pensionabile per chi ha svolto un lavoro con mansioni gravose).

La deroga al D.Lgs. 503/1992, come da circolare INPS 16/2013, consente tuttavia di andare in pensione anche con 15 anni di contributi – fermo restando il compimento dei 67 anni per alcune categorie speciali di lavoratori. Anche per i lavoratori non vedenti oppure invalidi almeno all’80% è prevista una deroga. Nel primo caso gli uomini possono andare in pensione al raggiungimento di 56 anni d’età, mentre le donne a 51 anni unitamente a 10 anni di contributi. Nel caso degli invalidi il requisito contributivo è di 20 anni, mentre quello anagrafico è di 61 anni per gli uomini e di 56 anni per le donne. Per entrambe le deroghe si applica una finestra mobile di 12 mesi.

La Pensione di vecchiaia nel sistema contributivo interessa chi ha il primo accredito contributivo successivo al 1° gennaio 1996.

Tuttavia, per conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, oltre alla presenza del requisito contributivo di 20 anni e del requisito anagrafico di 67 anni, si deve ulteriormente soddisfare il requisito di avere un importo della pensione superiore a 1,5 volte quello dell’assegno sociale.

In caso contrario si può accedere al trattamento di vecchiaia al compimento di 70 anni di età con almeno 5 anni di contribuzione “effettiva” con esclusione della contribuzione accreditata figurativamente a qualsiasi titolo – a prescindere dall’importo della pensione. Anche il requisito anagrafico di 70 anni è soggetto agli adeguamenti in materia di stima di vita (dal 2019 sono quindi necessari 71 anni).

La pensione di vecchiaia decorre dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale l’assicurato ha compiuto l’età pensionabile.

La pensione anticipata è il trattamento previdenziale che può essere conseguito a prescindere dall’età anagrafica dai lavoratori iscritti alla previdenza pubblica obbligatoria.

Nel sistema misto, la pensione anticipata si può ottenere al raggiungimento di 41 anni e 10 mesi per le donne e di 42 anni e 10 mesi per gli uomini. È valida la contribuzione a qualsiasi titolo accreditata in favore dell’assicurato (obbligatoria, volontaria, da riscatto, figurativa).

La pensione decorre dopo tre mesi dal momento di maturazione del requisito. Esempio: un lavoratore che matura i 42 anni e dieci mesi di contributi in luglio, e presenta la relativa domanda di pensione anticipata, potrà iniziare a percepire l’assegno dal primo novembre.

E adesso le “famigerate” quote 100 (con requisiti maturati alla data del 31 dicembre 2021), 102 (con requisiti dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022) e 103 (con requisiti dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023), le quali prevedono che il requisito da raggiungere sia dato dalla somma degli anni d’età più quelli di contributi. Nel caso della quota 100 i requisiti da raggiungere sono 62 anni d’età e 38 di contributi (di cui 35 anni di contributi effettivi, quindi escluse malattia e disoccupazione). Vale il principio del diritto cristallizzato: cioè se i requisiti si raggiungono entro il 31 dicembre dei rispettivi requisiti si può presentare domanda in qualsiasi momento successivo.

Per la quota 102 gli stessi contributi ma 64 anni d’età, i quali ridiventano tuttavia 62 nella quota 103, che prevede però la maturazione di 41 anni di contributi.

Per tutte le “quote” vi è il divieto di cumulo tra reddito da lavoro e pensione sino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia (67 anni). È inoltre ammesso solo il cumulo con redditi di lavoro autonomo di natura occasionale entro un massimo annuo di 5 mila euro lordi.

Le “quote” prevedono un sistema di finestre mobili differenziate tra settore privato e dipendenti pubblici: 3 mesi per i lavoratori del settore privato e 6 mesi per quelli del settore pubblico a partire dalla data di maturazione dei requisiti.

L’opzione Donna prevede un calcolo della pensione interamente contributivo, che rispetto al sistema retributivo o misto implica una decurtazione sull’assegno fino al 30%.

Nella bozza della legge di Bilancio 2024 peggiorano ulteriormente le regole per l’accesso a questa pensione anticipata, limitandone l’accesso a un minor numero di lavoratrici.

Attualmente possono accedere le lavoratrici che abbiano compiuto 60 anni (sia dipendenti che autonome) unitamente a 35 anni di contributi maturati entro il 31 dicembre 2022. Il requisito anagrafico scende di un anno (59 anni) in presenza di un figlio e di due anni in presenza di due figli (58 anni).

In particolare occorrerà ritrovarsi in uno dei seguenti profili di tutela: svolgere assistenza al momento della richiesta di prepensionamento; soffrire di una riduzione della capacità lavorativa superiore o uguale al 74%; essere lavoratrice licenziata o dipendente in imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale.

Restano confermate le finestre mobili di 12/18 mesi. Il diritto ad andare in pensione con l’Opzione Donna non si perde anche se non viene esercitato subito. In altri termini, una lavoratrice che ha i requisiti può presentare la domanda di pensione in qualsiasi momento.