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Appuntamento con Marco Guzzi

In una delle ultime interviste abbiamo parlato del matrimonio come luogo di realizzazione dell’io. Oggi vorrei invece approfondire il tema della procreazione. In Italia nel 2019 secondo dati ufficiali abbiamo raggiunto il minimo storico di nascite dall’Unità Nazionale. Lo stesso trend si conferma anche in Germania, dove dalla fine degli anni ’90, fatta eccezione per alcune annualità, l’andamento continua ad essere decrescente. In un post di qualche tempo fa scrivesti che oggi generare un figlio può considerarsi un atto rivoluzionario. Le motivazioni di questa difficoltà, secondo te, sono riconducibili per lo più a una certa incertezza e instabilità economica, oppure ci sono anche ragioni  più profonde, legate a una visione nichilista della vita? E dove trovare la forza oggi per questo gesto rivoluzionario?

Come per tutti i fenomeni critici del nostro tempo anche riguardo la procreazione, quindi al desidero di avere figli e alla crisi di questo desiderio, ci sono varie cause a diversi livelli di profondità, che vanno ben osservate perché hanno tutte una loro validità. Sicuramente non ci dobbiamo fermare alle cause più immediate e più evidenti. Tuttavia, partendo proprio da queste, è evidente che in Italia, ma anche in molte parti d’Europa, le nuove giovani generazioni stiano vivendo una sorta di massacro sociale.

Sono infatti almeno trent’anni che le politiche neoliberiste hanno prodotto un effetto devastante sulle condizioni di lavoro delle sempre più giovani generazioni. Quindi precarizzazione violenta – chiamata con un termine molto edulcorato “flessibilità” – che ha significato il passaggio, dagli anni ottanta fino ad oggi, di dieci punti di PIL dal lavoro al capitale. Ciò ha determinato condizioni non favorevoli alla stabilizzazione di un rapporto matrimoniale e al progetto procreativo. Questo è un primo livello molto reale, molto importante che bisogna tenere presente. Poi c’è sicuramente un livello psicologico. Noi viviamo in decenni depressi, è il tempo delle “passioni tristi”, come è stato detto in un famoso libro. È ovvio che le psicologie umane perdono il desiderio di vivere se non ci sono visioni e culture entusiasmanti, che diano energia.

La procreazione come tale è una creazione, e come ogni creazione nasce in fondo da un’esuberanza della vita. La denatalità va quindi anche letta come un processo di sfinimento esistenziale, quello che appunto il sociologo tedesco Rosa chiama “il Sé esausto”. È un livello importante, che è chiaramente collegato al primo. Questa cultura materialistica e nichilistica -che poi sul piano economico e politico genera il neoliberismo- è una cultura di morte. È una cultura sostanzialmente contro l’umano, disumanizzante, massacrante, molto ben nascosta dai suoi stessi rappresentanti, che al contrario spesso parlano di diritti, di tolleranza, assumendo una falsa immagine di bontà.

Ci vuole uno sguardo profetico per smascherare la distruttività terribile e la violenza che c’è dietro questo palcoscenico di buone maniere. Poi c’è un livello ancora più profondo, che è rappresentato dalla difficoltà di coniugarsi, prima ancora che di procreare. Intendo quindi la difficoltà di trovare, di realizzare e di mantenere relazioni durature, entro le quali poi naturalmente fare dei figli in modo, direi, ordinato. Non è un caso che antropologicamente gli umani abbiamo inventato l’istituto del matrimonio. Il matrimonio non nasce per ragioni sentimentali, ma per ragioni sociali e antropologiche fondamentali. Esso è stato creato, come dice lo stesso nome -mater munus- per garantire nella procreazione una protezione della madre. Il che avviene in una relazione stabile e socialmente approvata dalla comunità.

Ecco perché il matrimonio è un fenomeno pubblico: è una questione che riguarda l’intera comunità. Il fatto che sia un evento individuale è ancora una volta una visione nichilista. La difficoltà di coniugarsi nasce anche dalla trasformazione delle identità di genere, cioè dal fatto che il matrimonio, chiamiamolo patriarcale, che si fondava su delle identità sessuali ben definite sul piano sociale, entra in crisi almeno dalla fine dell’ottocento e poi lungo il novecento deflagra definitivamente. L’identità femminile e l’identità maschile cominciano a cambiare i loro contenuti storici. Quel tipo di legame, fondato su un certo tipo di identità sessuate, entra in profonda crisi.

E questo è uno dei motivi della difficoltà della conjuctio e della procreazione. Ora tutta questa crisi per ora la stiamo vivendo nel suo volto negativo. Tuttavia io credo invece che questa sia una fase sicuramente molto difficile, ma potenzialmente evolutiva. Se noi riusciremo a vivere personalmente questa grande crisi che è antropologica, culturale e politica in una direzione di crescita, se saremo quindi capaci di capirla e incarnarla, potremo sicuramente rianimare anche un’unione tra un maschile e un femminile rigenerati. Un maschile e un femminile che abbiano superato lo schematismo patriarcale aprendosi ad una relazionalità molto nuova.

Per chi volesse approfondire in lingua tedesca: www. darsipace.org. Facebook: Sich Frieden Schenken. Instagram: Frieden Schenken. Le pagine in italiano: www. darsipace.it. Facebook: darsi pace; Facebook: Marco Guzzi

I lettori possono scrivere al seguente indirizzo: kontakt@darsipace.org.

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