Foto di ©Daniele Messina, CdI

Appuntamento con Marco Guzzi

In un tuo post in riferimento al recente discorso di Draghi nel quale esprime la sua preoccupazione sul futuro dei giovani scrivi: “ci deve pur essere qualcuno che si riconosca responsabile di quelle politiche economiche (e sociali, e culturali) che negli ultimi decenni hanno devastato un’intera generazione, precarizzandola, svuotandola di senso, di vita, e di parole, e costringendola spesso ad emigrare […] lavoro affinché una nuova generazione rivoluzionaria possa finalmente fare chiarezza e fare anche giustizia, prima o poi”. A fronte di un altissimo numero di giovani che sceglie di emigrare c’è anche chi decide di rimanere e tentare di trovare una via di realizzazione in Italia. Tu Marco, che tra l’altro collabori attivamente con il gruppo giovanile “L’indispensabile”, cosa diresti a un giovane in crisi di fronte alla scelta di emigrare o di rimanere?

Prima di tutto è utile ricordare, come si diceva nel post, che negli ultimi trenta/quaranta anni le politiche economiche occidentali e italiane hanno condannato intere generazioni ad uno stato di precarizzazione del lavoro e a una svalutazione economica del salario producendo uno spostamento di ricchezza dal basso verso l’alto, che ha causato disuguaglianze economiche incredibili. La condizione di un giovane oggi in Italia, come ci confermano i dati statistici, è molto difficile. È molto difficile in generale trovare un lavoro ed è ancora più difficile trovare un lavoro alla misura degli studi che si sono fatti. In questa situazione io posso ben capire un giovane che decida di cercare fortuna altrove. È molto comprensibile anche se doloroso. Doloroso prima di tutto per il soggetto stesso, perché noi dovremmo avere un diritto costituzionale al lavoro adeguato. Siamo quindi da decenni in una struttura anticostituzionale ed è questa la situazione in cui si trovano queste nuove generazioni. Io personalmente, nel pieno rispetto e comprensione per qualsiasi scelta, dico ai ragazzi con cui parlo che bisogna restare. Restare per me significa però lottare. Restare non vuol dire subire questa situazione di ingiustizia o adattarsi. Se come è giusto, una persona non vuole andarsene forzatamente, come è successo per tante generazioni di italiani che sono stati costretti dalle circostanze, io suggerire di rischiare di rimanere e di combattere contro un sistema ingiusto che sta devastando intere generazioni. Rimanere per portare avanti un processo rivoluzionario, democratico e non violento ma che contesti radicalmente un sistema suicidario.

A questo proposito Marco potresti spiegarci meglio il lavoro che stai portando avanti insieme ai giovani de “L’indispensabile”? In cosa si caratterizza precisamente questo gruppo e cosa lo differenzia dagli altri movimenti giovanili?

Io credo che la prima caratteristica specifica di questo movimento sia quello di autodefinirsi un movimento rivoluzionario e cioè di recuperare e rilanciare un concetto di rivoluzione superando e differenziandosi nettamente dalle configurazioni violente delle rivoluzioni che abbiamo vissuto nel XIX e nel XX secolo. Perché “L’Indispensabile” vuole rilanciare questo concetto? Lo vuole rilanciare perché, come dicevamo prima, i cambiamenti indispensabili sono veramente radicali! Bisogna ripensare radicalmente il concetto di sviluppo, il concetto di crescita economica, il concetto di persona e di diritti della persona. Si tratta veramente di una rivoluzione culturale, come dice anche oggi il Papa. Bisogna rilanciare questo concetto radicale di cambiamento, che trae la sua origine nella speranza messianica e cristiana del Regno. È lì che il concetto di rivoluzione si alimenta: nella speranza che il Regno di Dio sia già venuto nella storia e che proceda rivoluzionandola e contestando radicalmente le leggi dell’ingiustizia che tutt’ora dominano questo mondo. Questo è un carattere direi nuovo, inedito di un movimento che riprende sì il concetto di rivoluzione, ma lo rilancia radicandolo alle sue fonti cristologiche. Il secondo elemento di novità è che appunto questo grande cambiamento viene radicato nella profondità della persona. Non è soltanto un cambiamento strutturale, economico o sociale. Questi cambiamenti sociali, economici, politici e culturali possono oggi procedere solo se ognuno di noi entra in un dinamismo di trasformazione interiore profonda, possiamo dire di metanoia. Stiamo cercando cioè di elaborare e di vivere un nuovo rapporto tra spiritualità e politica, tra cristianesimo e storia. Siamo convinti che soltanto un rilancio di fede messianica, una riscoperta personale del dinamismo interiore di liberazione possa dare l’energia quotidiana sufficiente per scatenare sulla terra quelle trasformazioni radicali ormai indispensabili per la sopravvivenza. Rivendichiamo inoltre una grande centralità della cultura. Rispetto cioè ai movimenti degli ultimi decenni affermiamo che per poter avviare dei processi rivoluzionari seri c’è bisogno di una cultura che sappia sintetizzare secoli o addirittura millenni, recuperandone tutta l’energia filosofica, artistica e spirituale. Noi riprendiamo un concetto che esiste già nel ciclo giacobino-marxista delle rivoluzioni 1789-1989, che si nutriva appunto dell’idea che il soggetto rivoluzionario vada formato ed educato. Lo riportiamo tuttavia alla radicalità iniziatica. Questa formazione deve andare fino alla profondità della costituzione dell’Io. Un Io potremmo dire veramente cristocentrico. C’è una grande potenzialità in questo movimento perché questi nodi che abbiamo detto sono veramente pregni di futuro.


Per chi volesse approfondire in lingua tedesca: www. darsipace.org. Facebook: Sich Frieden Schenken. Instagram: Frieden Schenken. Le pagine in italiano: www.darsipace.it. Facebook: darsi pace; Facebook: Marco Guzzi. I lettori possono scrivere al seguente indirizzo: kontakt@darsipace.org.

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