Foto di Lorenzo Morao

„Chiunque abbia sentimento del bello resta gradevolmente colpito dall’aspetto pittoresco della città, che si allarga lungo le falde del colle e termina alla sua vetta con un gruppo di case, fra le quali spicca l’architettura greca d’una facciata. Sorgono qua e là antiche mura smantellate in fianco alla rocca. Posizione ridente, aria salubre, comodo accesso ed una vaga corona di colli rendono assai gradito il soggiorno nel territorio”.

La descrizione del paesaggio di Conegliano (Treviso) è di Antonio Caccianiga, giornalista, scrittore ed uomo politico trevigiano, e risale agli anni settanta del XIX secolo. Ma l’impressione che un visitatore attento ne ricava ancor oggi è la stessa: colli orlati di boschi secolari, case coloniche, eremi, piccoli borghi e soprattutto un incessante rincorrersi di filari di vite.

Solo la vista del castello medievale, sulla sommità del Colle di Giano, è ora limitata a qualche breve scorcio tra i caseggiati che s’infittiscono ai piedi della collina. Ma, imboccando la viuzza giusta, incassata tra due muretti, salendo passo passo lungo quel percorso antico, in un mattino di settembre, ti trovi un po’ alla volta immerso in un paesaggio incantevole per i silenzi, per i profumi di erbe aromatiche, per le nuove prospettive che si aprono ad ogni curva.

Finché si arriva in vista della torre svettante del castello, che conserva tutto il fascino di un superstite manufatto, contro cui nemmeno gli insulti del tempo hanno potuto più che tanto. Sta là, impavida, ma, mentre un tempo vigilava severa, oggi ci dona suggestivi panorami sui quali scorre felice lo sguardo, a nord sulle morbide colline che in breve si fanno montagne, sulla distesa della pianura veneta a sud, orlata in fondo dalla laguna di Venezia, sulla città antica di Conegliano che si raccoglie come a festoni ai suoi piedi.

Sì, perché dopo i secoli dei castelli e delle città turrite (Conegliano ne aveva una settantina di torri ormai ridotte a pochi lacerti), la città si andò affermando come centro di rilevante importanza commerciale per i traffici nord-sud tra Germania e pianura padana ed est-ovest tra Veneto e Friuli. Ne è una riprova l’insediamento, che durò nei secoli, di una fiorente comunità ebraica con l’istituzione di un banco di prestito.

Il fascino della “Contrada Granda”

Così sorsero una serie di palazzetti signorili, specie nel ‘500, sulle piazze e lungo le vie principali della cittadina, in particolare lungo la Contrada Granda (Monte di Pietà, Palazzo Sarcinelli, Casa Longega, Palazzo Montalban, Palazzo Dalla Balla per citarne alcuni), oggi via XX settembre, che resta il fulcro dell’eleganza rinascimentale. Palazzi con facciate affrescate e decorazioni in pietra scolpita, incentivate dalle agevolazioni fiscali riconosciute dalla Repubblica di Venezia (dominante sul territorio già dal sec. XIV), convinta che, se i suoi sudditi fossero vissuti in città belle, sarebbero stati anche buoni cittadini.

Ma la perla della Contrada Granda è la Sala dei Battuti, costruita verso la fine del ‘300 sopra il porticato del Duomo, come luogo d’incontro della Confraternita dei Battuti, dedita all’assistenza spirituale e materiale degli abitanti e benemerita al punto da usufruire di notevoli lasciti e donazioni. La Sala, affrescata nelle pareti interne da Francesco da Milano e da altri artisti locali con scene tratte dalle Storie di Cristo, nasconde la vera facciata del Duomo, ma, incastonata tra gli altri palazzi, consente la continuità del fronte stradale porticato con un’elegante facciata di nove arcate a sesto acuto, ornata da trifore romaniche, e mirabilmente affrescata con le Storie Bibliche del Pozzoserrato (Lodewijk Toeput – 1550-1605), un pittore fiammingo vicino a Tintoretto ed a Veronese.

Città ricca, quindi, Conegliano, ma anche colta, dove fiorirono circoli ed ambienti culturali, ed artisti, come Francesco Beccaruzzi e il sommo Cima da Conegliano (1459-1518), formato alla scuola veneziana di Giovanni Bellini, un pittore che si distinse per la classicità e l’eleganza delle forme e per il raffinato cromatismo in particolare nelle rappresentazioni sacre, ora conservate nei più importanti musei del mondo, dalla National Gallery di Londra alle Gallerie dell’Accademia di Venezia alla National Gallery di Washington. A Conegliano, dove il pittore trascorreva le estati, Cima lasciò una sua importante opera conservata nel Duomo, una Madonna in trono col Bambino tra angeli e santi, meglio conosciuta come la Pala di Conegliano.

Per concludere in gloria

Dopo aver riempito gli occhi ed il cuore di bellezza e di armonia e per gustare appieno i doni di un territorio, non si può non soffermarsi su qualcuna delle osterie storiche che ancora si affacciano sulla Contrada Granda. Ce lo suggeriva anche la Pala del Cima, che, nei pennacchi della cupola che sovrasta la scena, intorno agli evangelisti Giovanni e Marco, presentava tralci di vite e grappoli d’uva, simboli sicuramente della vigna di Cristo, ma anche del prodotto più rinomato del territorio. Così, sempre continuando nella ricerca del “bello”, concludiamo nel modo migliore il nostro percorso in un locale storico, sorseggiando un calice di prosecco con alcune consapevolezze, che quel vino è il frutto pregiato del lavoro sapiente e appassionato di tanti vignaioli che hanno ricamato queste meravigliose colline, e di tanti vinificatori che hanno fatto del loro vino un’espressione dell’arte italiana di fare bollicine, un’arte che nasce da un territorio straordinario, quello di Conegliano e Valdobbiadene, che l’Unesco ha giustamente proclamato “Patrimonio dell’Umanità”.

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