I 20 anni della Comunità Santa Caterina di Friedrichshafen

A Friedrichshafen sul Lago di Costanza lo scorso 3 ottobre la comunità italiana di Santa Caterina ha festeggiato il ventennale in presenza del decano Bernd Herbinger. Mancava per motivi di salute il vescovo ausiliare Johannes Kreidler, che in passato aveva celebrato altri anniversari della comunità. Vent’anni fa il 1° ottobre 2001 con il decreto del vescovo Gebhard Fürst la Missione venne eretta come comunità di altra madre lingua e, da allora, è comunità sine cura animarum, ossia dipende dalla parrocchia tedesca, la cosiddetta Belegenheitsgemeinde. Questo, come sappiamo, è il modello amministrativo e pastorale delle comunità di altra madrelingua nella diocesi di Rottenburg/Stuttgart. Il nome Santa Caterina da Siena lo hanno scelto i consiglieri di vent’anni fa, ricordando la santa, patrona d’Italia. Responsabile della comunità è il diacono Ryszard Rzesny. Da quando è arrivato nel 1992 nella comunità è per tutti diacono Riccardo.

Riccardo, Lei è da trent’anni a Friedrichshafen ed è diacono dal 1997. Conosce la comunità e la sua storia. Quando comincia?

Guardando nell’archivio, il primo documento dell’allora missione è un battesimo del 1962, registrato dal primo missionario di Friedrichshafen, Aurelio Pesso. A don Aurelio successe nel 1979 don Alberto Caldara; con la scomparsa di don Alberto nel 1991, il parroco tedesco Heinz Rinderspacher della parrocchia Sankt Petrus Canisius, detto don Enrico, si prese cura della comunità italiana che amava molto, e poi conosceva l’italiano. Però don Enrico da solo non ce la faceva e non si trovava un sacerdote italiano.

A questo punto entra in gioco Lei, Riccardo. Come è arrivato a Friedrichshafen?

Ho studiato a Roma filosofia e teologia presso la Pontificia Università Lateranense ed ero impegnato nel volontariato come catechista nella parrocchia S. Lucia e nel Centro internazionale giovanile San Lorenzo e lì conobbi don Enrico. Fu lui a chiedermi di venire a Friedrichshafen. Accettai. Mi è sempre piaciuto stare con la gente e ho deciso di diventare diacono. Ho fatto tre anni di formazione e nel ’97 sono stato ordinato a Esslingen.

Che cosa fa e che cosa non può fare un diacono?

Svolgo un lavoro pastorale. Visito i malati nell’ospedale e a casa; porto la S. Comunione a chi desidera. Preparo i genitori al sacramento del battesimo e faccio battesimi. Lo stesso per il corso prematrimoniale e poi matrimoni. Faccio liturgia della Parola, posso dare la comunione ma non posso consacrare. Non posso confessare né dare l’assoluzione; non posso neanche dare l’unzione ai malati, peraltro molto richiesto, perché è legata al sacramento della confessione. Faccio lavoro di ufficio, sbrigo le telefonate per diverse necessità, dalle informazioni alle richieste di aiuto. Guido la comunità però non ho potere amministrativo che, come prescrive il codice di diritto canonico, è del parroco.

Che tipo di comunità è quella di Santa Caterina da Siena? Chi la frequenta?

Qui a Friedrichshafen ci sono circa mille italiani. Ci sono tre industrie importanti di aviazione e motori che richiamano anche dall’Italia molti ingegneri; sono la ZF, una volta specialista di aviazione e ora global player nel settore tecnologico; poi la MTU che costruisce grossi motori diesel e turbine; poi c’è la storica costruttrice di dirigibili Zeppelin; c’è anche la Dornier-Satellitensysteme. Alcuni di questi ingegneri vengono in comunità con la famiglia. Sono giovani impegnati che fanno i lettori, i ministri straordinari. Oggi abbiamo molti gruppi: quello dei giovani, dei ministranti (una volta si diceva chierichetti), delle mamme coi bambini, il gruppo dei papà, il gruppo delle donne del “Caffè da Caterina” e anche il gruppo degli anziani, chiamato “I giovani” dai 50 in su” e altri ancora.

Ci sono molte persone da voi che “escono” dalla chiesa?

Sì ma non conosco il numero preciso. Qualcuno esce ufficialmente dalla Chiesa per evitare le tasse, ma poi frequenta la chiesa e la comunità. Ci sono giovani famiglie, arrivate da poco, che non si iscrivono alla Chiesa in Germania per non pagare le tasse; per una giovane famiglia si tratta di un sacco di soldi. Quello della Kirchensteuer è un freno, soprattutto per chi viene qui. Ma è un problema anche per noi, perché se una persona non è iscritta per la Chiesa non possiamo impartire i sacramenti.

Siete da vent’anni comunità sine cura animarum, come le altre della diocesi. Che cosa ne pensi è un modello che funziona?

Bisogna coltivare i rapporti con il parroco e la comunità locale (Belegenheitsgemeinde) e lo facciamo. Ringrazio il parroco tedesco, don Enrico, che c’è stato qui, perché lui amava gli italiani e ha aperto la strada. Oggi qui posso fare tutto, pubblichiamo le nostre iniziative in italiano sul bollettino parrocchiale Novità di S. Caterina, ma le cose importanti per ambedue le comunità le pubblichiamo anche nel Kirchenanzeiger, in tedesco. Se ho bisogno una sala, non ho problemi a prenotarla. Presto servizio anche nella parrocchia locale. Faccio parte del team pastorale partecipo alle riunioni di decanato. “Se volete che continui a esistere questa comunità del futuro” dico ai giovani che ho coinvolto nel consiglio pastorale “bisogna saper discutere in tedesco”. Finché esisterà un consiglio pastorale eletto che può votare un responsabile, anche se non dovesse esserci un sacerdote o un diacono, un ministro del culto, la comunità potrà continuare ad esistere.

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