Nella foto: Abbazia di San Galgano. Foto di Vignaccia76 - Opera propria, fonte wikipedia

Di san Galgano, si sa che morì nel 1181 e che, convertitosi dopo una giovinezza disordinata, si ritirò a vita eremitica per darsi alla penitenza, con la stessa intensità con cui si era prima dato alla dissolutezza

Le immagini sono uno dei mezzi più efficaci con cui la nostra mente fa riaffiorare le nozioni. Un’imponente abbazia in stile gotico, privata del tetto dalle ingiurie degli eventi e del tempo, è una nota immagine che spesso accompagna guide turistiche o mappe della Toscana. La spada infissa nella roccia rimanda indiscutibilmente all’epopea arturiana, diffusamente legata a miti nordici.

Questi due elementi, apparentemente così lontani, sono invece fortemente connessi, e per di più legati alla storia ed al culto di uno dei Santi più importanti del medioevo, un giovane di nobile famiglia, Galgano Guidotti, proveniente da un paese vicino Siena, passato alla storia come San Galgano.

I suoi genitori, Guidotto e Dionigia, nobili vassalli del Vescovo di Volterra, avevano lungamente atteso un figlio. Essendo molto religiosi si erano affidati completamente al Signore perché esaudisse questo desiderio, secondo la sua volontà, ed erano stati esauditi nel 1148, pur essendo in età piuttosto avanzata per l’epoca.

Il giovane Galgano viene educato in modo adeguato al suo rango con una forte formazione religiosa e cavalleresca. In quegli anni si fronteggiano nel centro Italia forti giochi di potere per la spartizione del regno della Gran Contessa Matilde di Canossa che, morendo, aveva lasciato tutti i suoi possedimenti alla Chiesa, causando molti malumori ed appetiti ai nobili fedeli all’imperatore. Anche Galgano viene coinvolto in questi scontri, esercitando per tradizione familiare la funzione ufficiale di tutela dell’ordine costituito, la mano armata del vescovo di Volterra per la protezione del suo distretto, lasciandosi andare per superbia e per senso di potere a condotte superbe e dissolute.

La sopraggiunta morte del padre lo porta a riconsiderare la vita che sta vivendo, avendo due crisi mistiche legate a visioni dell’arcangelo Michele: in una di queste, egli lo guida lungo un lunghissimo ponte sospeso sotto al quale scorre un fiume, sul quale una ruota di mulino gira senza posa, rappresentazione della propria vita vissuta vanamente, una ruota che gira senza andare da nessuna parte.

Decide quindi di comunicare a sua madre la volontà di ritirarsi a vita contemplativa, ma sua madre si oppone e cerca di convincerlo a sposare una nobile sua pari. Per obbedienza alla madre, due volte Galgano tenta di recarsi a visitare la promessa sposa, e per due volte il suo cavallo si blocca lungo la strada, la seconda volta avviene la Vigilia di Natale del 1180. Galgano non riuscendo a far andare il proprio cavallo né avanti né indietro, capisce e si dispone in preghiera, chiedendo all’Arcangelo Michele di guidarlo di nuovo verso il luogo dove dovrà compiersi la sua vita.

Giunto sulla cima del vicino colle di Montesiepi il cavallo si fermò e fu allora che Galgano decise di conficcare sul terreno la propria spada di cavaliere, che entrò nella roccia quasi fino all’elsa. Questo era un gesto che per i cavalieri del Medioevo aveva un alto significato spirituale, ricordando la spada capovolta, la Croce. Galgano non rifiuta il suo passato di servitore dell’esercito del mondo, ma passa ad una fase successiva della sua vita avendo capito che era giunto ad un punto dal quale non riusciva ad andare né avanti né indietro, come il suo cavallo. Si pone quindi al servizio di una cavalleria diversa da quella vissuta fino ad allora: il cavaliere Galgano si arruola nella milizia di un Signore più grande di quello terreno che ha fino a quel punto servito: decide di servire completamente Gesù Cristo.

Trasformò il proprio mantello in saio e come tale lo indossò, iniziando la sua vita da eremita, cibandosi di erbe selvatiche e dormendo sulla nuda terra. Secondo la tradizione, il divisore, avvertita questa grandissima Fede, lo tentò in ogni modo ma Galgano, lottò e sconfisse con la sua fermezza ed il demonio si allontanò definitivamente ululando.

L’esempio di Galgano con la sua forza trascinò subito altre persone e, come molte altre esperienze eremitiche, costituì l’inizio della fondazione di una nuova comunità monastica che poi confluì nella cistercense.

Nella primavera del 1181 Galgano si recò in visita al Papa Alessandro III e forse in tale occasione ottenne l’approvazione della sua fondazione.

Durante la sua assenza tre persone, che la tradizione a partire dal XIV secolo ha identificato con alcuni monaci della vicina abbazia di Serena, invidiosi di questa sua Fede ardente, compirono un attentato contro di lui, distruggendone la capanna e spezzandone la spada, che Galgano riuscì poi a saldare miracolosamente solo riappoggiando le due estremità. La sua esperienza eremitica a Montesiepi durò solo poco oltre perché il 30 settembre del 1181 morì a soli 33 anni.

Nella foto: La spada nella roccia. Foto di Paolo Dalmasso – Pietro Lanzara, fonte Wikipedia

Negli anni successivi, la tomba di Galgano divenne mèta di pellegrinaggi confermando la grande efficacia della sua intercessione presso Dio, anche oltre la sua morte: gli atti del processo di canonizzazione infatti riferiscono numerosi miracoli, avvenuti già quando era in vita e continuati dopo la sua scomparsa, guarigioni di persone paralitiche, liberazione di prigionieri, guarigioni da malattia o addirittura dalla lebbra, liberazione di posseduti dal demonio. Già nel 1185, Ildebrando Pannocchieschi, vescovo di Volterra ottenne l’apertura di un processo di canonizzazione da parte del papa Lucio III e la nomina di tre commissari con il compito di verificare la santità del giovane chiusdinese: è documentato che fra di essi fosse Corrado di Wittelsbach, cardinale arcivescovo di Magonza (Mainz) e vescovo della Sabina, il cardinale Melior, arciprete del titolo dei Santi Giovanni e Paolo, e dello stesso Ildebrando. Il giovane San Galgano, il cavaliere di Cristo, viene quindi proclamato Santo, uno dei santi più importanti nell’Europa medioevale.

Quanti ragazzi con le migliori possibilità e le migliori educazioni rischiano di sprecare anche oggi la propria vita, seguendo solo il successo personale o servendo solo logiche di potere?

Questo delirio di onnipotenza viene spesso spezzato da eventi inaspettati che fanno rendere conto di quanto la vita non sia mai completamente sotto il proprio esclusivo controllo, ed ecco che il riferimento della Fede può essere l’ancora alla quale fissarsi per non perdersi.

Quante madri, anche ricche di fede, hanno sognato per il proprio figlio un futuro ineccepibile per quelle che sono le regole del mondo, senza accorgersi che questo progetto non era quello che donava al proprio figlio, completezza e felicità. Hanno poi saputo riconoscere la vera Grazia dalla forza e dalla gioia della propria creatura, finalmente capace di governare la propria vita e trascinare nel bene una moltitudine di gente.

Quante persone che dovrebbero avere i nostri stessi valori, per infantile invidia, tentano di distruggere anche le povere cose di un fratello, senza rendersi conto di rovinare se stessi. Provando a distruggere quegli oggetti, in realtà rifiutano di costruire in sé un mondo nuovo e rinnovato e rischiano di perdersi, solo riconciliarsi con il fratello darà loro la possibilità di salvarsi nella solidarietà e nella semplicità della vera Chiesa.

Abbiamo raccontato la storia di un giovane Santo vissuto quasi novecento anni fa ma, come si può facilmente intuire, queste dinamiche personali e questi esempi di vita sono incredibilmente attuali. Ci auguriamo di riuscire ad essere anche noi, oggi e degnamente, cavalieri serventi di Cristo nel mondo.

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