Nella foto: San Pietro. Foto di ©DM

Il Dicastero per il servizio dello Sviluppo Umano Integrale ha stilato questo documento, importante perché fa della pastorale migratoria non un ramo secondario della pastorale ma ci ricorda quanto sia fondamento dell’essere ecclesia, aperta all’accoglienza, all’ascolto e alla testimonianza del Vangelo. Il testo rinnovi lo spirito delle nostre comunità cattoliche italiane, di accoglienza, di apertura e collaborazione. Esso si articola in sette punti introdotti da versetti dalle Sacre Scritture e un commento; a questo segue l’esposizione della sfida che i tempi ci impongono e l’articolazione di risposte a queste sfide. Per motivi di spazio riportiamo solo una sintesi dei punti trattati.

Il testo completo è scaricabile gratuitamente su press.vatican.va o su www.delegazione-mci.de

Papa Francesco: I presenti Orientamenti Pastorali contengono proposte nell’ambito della pastorale interculturale e traducono, in maniera concreta, il mio invito, suggerito nell’Enciclica “Fratelli tutti” (FT), a far crescere una cultura dell’incontro. Vi esorto a tornare all’immagine del poliedro, che “rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (…). Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo” (FT, 215).

Nei momenti di maggiore crisi, come quelli causati dalla pandemia e dalle guerre a cui stiamo assistendo, nazionalismi chiusi e aggressivi (FT, 11) e l’individualismo radicale (FT, 105) spaccano e dividono il noi, sia nel mondo che all’interno della Chiesa.

Il Signore Gesù ci dice che ogni occasione di incontro con un rifugiato o un migrante è un’occasione per incontrare Lui stesso (cfr. Mt 25,35).

1. RICONOSCERE E SUPERARE LA PAURA

La paura è una compagna assai presente nei viaggi di esseri umani e comunità che si trovano davanti a situazioni e contesti nuovi. La Chiesa cattolica è chiamata ad aiutare le comunità locali a capire veramente il fenomeno della migrazione e a fornire un ambiente adatto per l’incontro reciproco. Con l’aiuto di operatori sociali e pastorali, è così necessario far conoscere agli autoctoni i complessi problemi delle migrazioni e contrastare sospetti infondati e pregiudizi offensivi verso gli stranieri. Coinvolgere adolescenti e giovani, che sono più aperti e hanno opinioni più comprensive nei confronti di migranti e rifugiati, in vista di un vero cambiamento nella narrativa migratoria.

2. PROMUOVERE L’INCONTRO

Le comunità cattoliche si trovano spesso impreparate e disorientate a causa dell’arrivo di molti migranti e rifugiati. Questi ultimi, invece, potrebbero avere difficoltà a integrarsi con la gente del posto, ricorrendo alla creazione di zone di comfort e ghetti. Una semplice giustapposizione di gruppi di migranti e di autoctoni tende alla reciproca chiusura delle culture, oppure all’instaurazione tra esse di semplici relazioni di esteriorità o di tolleranza. Si dovrebbe invece promuovere una fecondazione reciproca delle culture. Ciò suppone la conoscenza e l’apertura delle culture tra loro, in un contesto di autentica comprensione e benevolenza. Preparare le persone ad incontri vivificanti che traggono profitto da tutti i luoghi di formazione cattolica: scuole, classi di catechismo, gruppi giovanili, formazione alla fede e altri. Tutti gli sforzi che potrete compiere gettando ponti tra comunità ecclesiali, parrocchiali, diocesane, come pure mediante le Conferenze episcopali saranno un gesto profetico della Chiesa che in Cristo è “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium,1)[11].

3. ASCOLTARE ED ESSERE COMPASSIONEVOLI

“Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto” (Romani 12,15).

Il vero ascolto è sempre un esercizio di simpatia ed empatia (…). È questo atteggiamento di sentire e di prendersi cura degli altri e con gli altri che unisce le persone e genera una comunità umana compassionevole.

È pertanto necessario che fin dall’inizio, nei seminari, “la formazione spirituale, teologica, giuridica e pastorale … sia sensibilizzata ai problemi sollevati nel campo della pastorale delle persone nella mobilità”. Sociologi, psicologi, antropologi, economisti, giuristi e canonisti, moralisti e teologi si riunirebbero e, confrontando le proprie conoscenze ed esperienze con coloro che hanno la cura d’anime, contribuirebbero ad approfondire la comprensione del fenomeno e a proporre i mezzi adatti a farvi fronte.

4. VIVERE LA NOSTRA CATTOLICITÀ

Vedere l’autentica molteplicità dell’espressione culturale e religiosa all’interno delle comunità cattoliche locali come un’opportunità per imparare dalle diverse tradizioni e per promuovere l’apprezzamento interculturale attraverso la comunicazione creativa. Le diverse identità culturali devono così aprirsi ad una logica universale, non già sconfessando le proprie positive caratteristiche, ma mettendole a servizio dell’intera umanità. Mentre impegna ogni Chiesa particolare, questa logica evidenzia e manifesta quella unità nella diversità che si contempla nella visione trinitaria, la quale, a sua volta, rimanda la comunione di tutti alla pienezza della vita personale di ciascuno. Garantire spazi adatti per la celebrazione della liturgia e invitare i fedeli a partecipare alle varie celebrazioni per apprezzare la ricchezza della spiritualità e delle tradizioni cattoliche. L’unità della Chiesa non è data dall’origine e lingua comuni, ma dallo Spirito di Pentecoste che, raccogliendo in un solo Popolo genti di lingue e nazioni diverse, conferisce a tutte la fede nello stesso Signore e la chiamata alla stessa speranza. Offrire una cura pastorale specifica – ministri, strutture e programmi – a tutti i fedeli provenienti dalle diverse etnie è da intendersi sempre come il primo passo di un processo di integrazione a lungo termine, volto a realizzare la comunione nella diversità. La cura delle persone migranti porterà davvero frutti se è svolta da persone che le conoscono bene (cioè la mentalità, i pensieri, la cultura e la vita spirituale) e che conoscono a fondo la lingua della gente. Si conferma così il già evidente vantaggio di prendersi cura delle persone che migrano attraverso sacerdoti della propria lingua, e questo finché l’utilità lo indica.

5. CONSIDERARE I MIGRANTI UNA BENEDIZIONE

I migranti dovrebbero considerarsi non solo i destinatari delle cure pastorali della Chiesa, ma anche come gli effettivi contributori nella sua missione. Mentre la Chiesa cerca di alleviare le difficoltà che incontrano nel vivere il loro impegno per Cristo in un ambiente nuovo, particolarmente nella fase iniziale del loro inserimento, questo li incoraggia a coinvolgersi nella vita e nella missione della Chiesa. Proporre nuove strutture pastorali per rispondere in modo più efficace alla crescente presenza dei migranti, cioè parrocchie interculturali, dove i programmi pastorali mirano a costruire una comunità arricchita dalla diversità. Pastorale d’insieme significa qui, soprattutto, comunione che sa valorizzare l’appartenenza a culture e popoli diversi. (…) In questo senso si possono prevedere la Parrocchia interculturale e interetnica o interrituale, dove si cura, allo stesso tempo, l’assistenza pastorale degli autoctoni e degli stranieri residenti sullo stesso territorio. La Parrocchia tradizionale territoriale diventerebbe così un luogo privilegiato e stabile di esperienze interetniche o interculturali, pur conservando, i singoli gruppi, una certa autonomia. Offrire una formazione specifica ai sacerdoti stranieri che prestano servizio nelle comunità locali, in modo da renderli mediatori capaci di promuovere un’integrazione rivitalizzante tra fedeli locali e nuovi arrivati. Questa preparazione deve fondarsi sulla rivelazione profetica dell’accoglienza; sul richiamo evangelico della solidarietà cristiana, sul fondamento teologico dei diritti umani e sull’assoluto convincimento della dignità della persona umana.

6. REALIZZARE LA MISSIONE EVANGELIZZATRICE

“Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?” (Atti 11,17).

Dio Padre, per mezzo dello Spirito Santo, offre a tutti, senza esclusione, i doni vivificanti di fede, speranza e carità in Gesù. La Chiesa non deve ostacolare la missione di Dio restringendo questa offerta universale in nome di principi religiosi ed etnocentrici distorti. La missione appartiene a Dio, ed Egli ha affidato questa missione alla Chiesa. La Chiesa compie la sua missione guidata dallo Spirito Santo annunciando il Vangelo a tutte le nazioni. Molte comunità cattoliche percepiscono l’arrivo di migranti e rifugiati di altre confessioni o senza fede come una minaccia alla loro identità religiosa e culturale consolidata. Occorre aiutare le comunità locali ad impegnarsi nel dialogo interreligioso, partendo da una conoscenza solida ed equilibrata delle altre religioni, che vada al di là di generalizzazioni e pregiudizi.

7. COOPERARE IN VISTA DELLA COMUNIONE

“E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (Giovanni 10,16).

La collaborazione tra le varie Chiese cristiane e le varie religioni non cristiane in quest’opera di carità porterà a nuove tappe nella ricerca e nella realizzazione di una più profonda unità della famiglia umana. Al riguardo, la Chiesa cattolica sente sempre più importante il bisogno di un dialogo che, a partire dalla coscienza della identità della propria fede, possa aiutare le persone a entrare in contatto con le altre religioni. In conformità con la sua tradizione pastorale, la Chiesa è disponibile ad impegnarsi in prima persona per realizzare tutte le iniziative sopra proposte, ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno secondo le responsabilità proprie.

CONCLUSIONE

Questi Orientamenti Pastorali mirano a farci partire dal basso e ad allargarci fino ai confini più remoti dei nostri Paesi per accogliere, proteggere, promuovere e integrare i nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati, costruendo il Regno di Dio nella fraternità e nell’universalità, e ad unirci a Zaccaria mentre canta: “E del giuramento fatto ad Abramo nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore in santità e giustizia, al suo cospetto, per tutti i nostri giorni” (Luca 1,73-75).

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