La visita del pontefice negli Emirati Arabi. L’invito al dialogo e il documento sulla fratellanza. Critiche ed applausi

Il 5 febbraio scorso, Papa Francesco ha iniziato il suo viaggio ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, dove, in presenza di 700 persone di differenti religioni, ha espresso il suo parere sull’inevitabilità di “dialogo e fratellanza” dei popoli e messo in rilievo la necessità di ogni individuo di poter aderire alla propria religione, grazie all’altrui tolleranza, al rispetto ed alla volontà di tutti “contro guerre e discriminazioni”.

Primo Pontefice che visita una città della penisola arabica, afferma di essere “un credente assetato di pace, un fratello che cerca la pace con i fratelli”, perché, “nel nome di Dio Creatore va senza esitazione condannata ogni forma di violenza “, in quanto “è grave profanazione del nome di Dio utilizzarlo per giustificare l’odio e la violenza contro il fratello. Non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificata”.

Dal no “alla violenza in nome di Dio” ne deriva, quindi, secondo il Pontefice, la necessità di costruire “insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace”.

Il Papa ammette che negli Emirati Arabi Uniti esiste la tolleranza, però afferma che non deve limitarsi “alla sola libertà di culto”, ma indurre a considerare chiunque come “un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero e che pertanto nessuna istituzione umana può forzare, nemmeno in nome suo».

Ne consegue che “non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia … per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace».

L’osservanza religiosa, dunque, non deve essere strumento di “violenza e terrorismo” perché ciò può far “negare sé stessa”, facendone violare i principi morali, quelli che permettono ad ogni persona di percepire ogni individuo come “un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero e che pertanto nessuna istituzione umana può forzare, nemmeno in nome suo”. Perché “la guerra non sa creare altro che miseria, le armi nient’altro che morte”. Ovvio, quindi, il suo invito alla pace rivolto ai cittadini della Siria, Libia, Iraq e Yemen.

Un viaggio, il suo, fatto per migliorare la relazione con gli Islamici, spiegare loro il valore delle religioni e convincerli ad abbandonare le azioni aggressive nei confronti dei non Musulmani. Motivo che spinge il vicario apostolico dell’Arabia Meridionale, Paul Hinder, a sperare “che questa visita sia un passo importante nel dialogo tra Musulmani e Cristiani e contribuisca alla comprensione reciproca e alla pacificazione nella regione del Medio Oriente”.

Secondo Amnesty International, l’organizzazione internazionale che difende i diritti umani (che chiede al Papa di “segnalare alle autorità emiratine i casi dei difensori dei diritti umani in carcere”), la visita pontificia può servire al Governo degli Emirati Arabi per manifestare una tolleranza religiosa non sempre esistente, nonostante il diritto di vita in teoria ammesso, tanto da spingere l’Onu a dire che trattasi della “peggiore crisi umanitaria provocata dall’uomo”.

Lo scopo, non facilmente raggiungibile, del suo viaggio in uno Stato islamico era lo stesso che, 800 anni fa, aveva indotto San Francesco d’Assisi ad andare in Egitto, per essere “strumento della pace”. Al quale si è aggiunto quello espresso dal Pontefice, durante la Messa celebrata ad Abu Dhabi, d’invitare il Governo e le Comunità internazionali ad “assicurare la distribuzione del cibo e lavorare per il bene della popolazione stremata dal lungo conflitto” e dalla fame di moltissimi bambini. In quanto il pericolo vero sta nell’uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina e alle più alte conquiste!”, ha detto durante l’omelia.

Il viaggio nonché gli inviti alla pace e all’aiuto agli affamati sono stati eseguiti, non a caso, nel 2019, anno che, per gli Arabi di quegli Stati, è quello della tolleranza e della propensione a rispettare dottrine religiose differenti e comportamenti diversi.

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