Nella foto: Mariano Delgado. Archivio personale

Quale pastorale è possibile oggi? Il teologo spagnolo Mariano Delgado propone una pastorale mistagogica, alla ricerca di Dio nel vissuto di ciascuna persona

Mariano Delgado, teologo, nato in Spagna nel 1955, è professore di Storia della Chiesa moderna e contemporanea all’università di Friburgo (Svizzera), dove è anche direttore dell’Istituto per lo Studio delle Religioni e del diaolgo interreligioso all’università di Friburgo (Svizzera). È studioso di san Giovanni della Croce e di Bartolé de Las Casas. Attualmente Delgado è decano della facoltà teologica. L’articolo dal titolo originale “Kleine Ermutigung zur mystagogischen Seelsorge” (Piccolo incoraggiamento per una pastorale mistagogica) è apparso sul settimanale “Christ in der Gegenwart”, Nr. 48/2021, Freiburg i. Br. www.christ-in-der-gegenwart.de. Qui lo proponiamo in italiano. (Trad. a cura di Paola Colombo)

La persona religiosa di domani sarà mistica o non lo sarà più. È tempo di prestare ascolto alle parole profetiche di Karl Rahner. La pastorale di oggi deve prendere ancora più seriamente in considerazione che ciascuno ha già fatto esperienza di Dio. Per questo occorre una pastorale umile, che si metta in cammino con gli uomini alla ricerca delle tracce di Dio nella vita.

Se noi prendiamo sul serio l’affermazione che “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et spes 22), allora oggi è necessaria una pastorale mistagogica. Questo significa una pastorale che abbia come compito principale il risveglio e l’accompagnamento della chiamata divina. Si tratta di diventare consapevoli di questa unione, della dignità e determinazione dell’uomo e andare incontro a Dio. Per l’esercizio spirituale di Ignazio di Loyola, questo è “il principio o fondamento” e Teresa D’Avila lo chiama “andare nel castello interiore”. Una pratica pastorale che voglia contribuire a questo dovrebbe partire da alcuni principi che risultano dall’esperienza mistica, per esempio di Giovanni della Croce, il doctor mysticus:

1. Ciascuno sa di Dio senza sapere come, anche i “semplici e gli umili” anzi proprio loro come la teologia mistica dello Pseudo Dionigi ci fa comprendere. “Dio è come la fonte dalla quale ciascuno attinge quanto il suo recipiente contiene” oppure “Dio sta come il sole sulle anime per trasmettersi a loro”.

Per questo il primo compito di una pastorale mistagogica sarebbe l’ “esperienza-anamnesi” cioè il disseppellire pazientemente l’esperienza di Dio presente nella biografia di ciascun essere umano – nella sua esperienza quotidiana, nella sua storia di speranza e sofferenza – che è seppellita in profondità. (cfr. le conclusioni, Beschluß, del documento del Sinodo di Würzburg, Unsere Hoffnung, 1971-1975). Per fare questo è necessaria una cultura del dialogo, come sempre la pratica Gesù, per esempio, con la Samaritana al pozzo di Giacobbe (GV 4,1-26), con il giovane ricco (Mt 19, 16-23) nel dialogo notturno con Nicodemo a Gerusalemme (GV 3,1-21) o con i discepoli nel cammino verso Emmaus (Lc 24, 13-32).

2. Dio è l’agente principale. Lui è il primo mistagogo che istruisce misteriosamente gli uomini per eseguire in ogni uomo la sua opera. Dio guida ciascuno in modi diversi, forma incessantemente l’intimo dell’uomo a sua immagine e somiglianza, comunicandogli così il suo spirito e la sua sapienza. Il lavoro segreto di Dio sull’uomo e le diverse vie dell’uomo a lui sono per Giovanni della Croce come una strada attraverso il mare, “i cui percorsi e tracce non si possono seguire”.

Per questo il secondo compito di una pastorale mistagogica è accompagnare le persone in maniera intelligente, discreta e paziente per non intralciare l’opera di Dio. Chi fa pastorale sono solo cooperanti del primo mistagogo e come tali “servi inutili” (Lc, 17,10).

3. Invitare al rischio di una “fede sicura e oscura” come via verso Dio. Il carattere invitante dell’annuncio cristiano è di particolare importanza in tempi di libertà religiosa: “La chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza.” (Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio, 39). “Sicura” è la fede perché sa come è Dio e sa così al meglio portarci a lui: “La sorgente ben so che emana e scorre, anche se è notte” – poetava Giovanni della Croce. Dalla fede possiamo solo ricavare che Dio è amore (1Gv 4,16), anzi che è infinito, trino e al contempo unico. La fede però è anche “oscura”, non solo perché qui nelle condizioni di finitezza “è ancora notte”, ma perché riferisce di cose, così il doctor mysticus che “noi né in se stesse né in forme a loro simili abbiamo visto o percepito”.

Il terzo compito della pastorale mistagogica consisterebbe nell’incoraggiare nell’azzardo della fede come via della percezione della chiamata divina dell’uomo, “anche se è notte” e molte domande rimangono aperte.

4. Rivolgere gli occhi solo a Cristo, ossia invitare ad accostarsi al “mite e umile di cuore” Gesù (Mt 11,29), poiché come “mediatore e pienezza di tutta intera la Rivelazione” (Costituzione conciliare Dei verbum 2) è Lui la via a Dio, l’unica scala come sapevano i mistici e i riformatori della Chiesa di tutte le confessioni.

Il quarto compito della pastorale mistagogica sarebbe allora portare gli uomini dal “buon pastore” (Gv 10,1-16) ed esigere nella Chiesa post conciliare l’antico principio del solus Christus per la riforma della Chiesa, perché l’evangelizzazione, la testimonianza di Cristo è la “ragione dell’esistenza” della Chiesa.

5. Promuovere la gioia verso la Chiesa, dal momento che la Chiesa ci ha tramandanto la fede, nonostante la sua peccaminosità, i suoi errori nella storia e nel presente. Di questi errori siamo in questi tempi dolorosamente consci, ma solo la fede ci aiuta a interpretare conformemente il messaggio di Dio in Gesù di Nazaret. Una pastorale del tipo: “Gesù sì, la Chiesa no” sarebbe estranea allo spirito della pastorale mistagogica. Di conseguenza il quinto compito sarebbe quello di risvegliare il senso per la chiesa pellegrina. Questa non è cieca ai suoi errori, ma congiunge critica e riforma della Chiesa affinché questa diventi più conforme a Cristo.

Per essere all’altezza di questi cinque principi, tutti i collaboratori e le collaboratrici nella vigna del Signore devono essere preparati come ostetrici della fede: Esiste forse lavoro più bello? Un principio importante oggi come sempre nella storia della Chiesa è che il Vangelo può essere annunciato in modo più esplicito se è testimonianza di fede personale. La crisi della trasmissione della fede non viene forse anche dal fatto, che abbiamo a che fare con una crisi di credibilità della Chiesa? Non è anche una crisi della fede vissuta da parte di clero, teologi e teologhe, collaboratori pastorali e insegnanti di religione? Siamo veramente consapevoli che chi fa pastorale oggi debba essere soprattutto un “mistagogo” e che è tempo oggi per una pastorale umile alla ricerca del Signore, che si è preannunciato in tutte le persone?

Nella nuova forma del cristianesimo deve essere evidente l’impegno universale per la giustizia e il diritto, per la verità e la libertà, per la solidarietà globale e la pace, poiché questi valori – non ultimo grazie alla storia stessa del cristianesimo (si pensi all’eciclica Fratelli tutti) – sono diventati valori secolari fondamentali che attraggono tutti.

Ma allora che cosa significa la citazione da Karl Rahner (1904-1984), secondo cui la persona religiosa di domani sarà un “mistico”, uno cioè che ha “fatto esperienza” di qualcosa oppure “non lo sarà più” dal momento che noi non nasciamo più in una cultura e in una società forgiate cristianamente e che dalla culla alla bara ci “puntellano” con l’aiuto di protesi socioreligiose che ci sostengono lungo la vita? Questa calzante diagnosi mostra come sia importante, addirittura necessario l’incoraggiamento alla pastorale mistagogica e la relativa formazione in tutte le discipline.

LA FONTE

Poesia citata da Mariano Delgado (San Giovanni della croce, 1542-1591)

La sorgente ben so che emana e scorre, anche se è notte.

Quella fonte eterna sta nascosta, ma io so ben dove sta riposta, anche se è notte.

Sua origine non so, ché non ne ha, ma ogni origine so che da essa viene, anche se è notte.

So che esister non può cosa sì bella, e cielo e terra bevono di quella, anche se è notte.

So che suolo in essa non si trova, e che nessuno di guardarla prova, anche se è notte.

La sua chiarezza mai viene offuscata, ed ogni luce so che è da lei venuta, anche se è notte.

Così abbondanti son le sue correnti, che inferno, cielo irrigano e le genti, anche se è notte.

Il ruscello che nasce dalla fonte, so ben essere capace e onnipotente, anche se è notte.

La vena che da queste due procede so che da nessuna di esse è preceduta, anche se è notte.

Codesta fonte eterna sta nascosta in questo vivo pan per darci vita, anche se è notte.

Qui se ne sta, chiamando le creature, che dell’acqua si sazian anche se al buio, perché è notte. Cotesta viva fonte che io bramo, in questo pane di vita io la vedo, anche se è notte.

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