Scontati i contrattacchi critici nei confronti dei 1.463.954 Elvetici che hanno respinto, sia pure con un ristrettissimo margine (1.444.428 i no), la raccomandazione del Governo Federale, del Parlamento e delle organizzazioni economiche e sindacali di non convalidare l’iniziativa contro l’immigrazione di massa, temuta per i suoi effetti verso l’Ue. Il voto, invece, si è espresso a favore di un maggior limite all’ingresso di stranieri.
A fine ottobre dell’anno scorso costituivano il 23,2% della popolazione residente, cui vanno aggiunti gli oltre 270’000 pendolari, dei quali, secondo le cifre dell’Ufficio federale di statistica, 62.000 Italiani in Ticino e 56.000 Tedeschi nella Svizzera germanofona. Numeri che fanno comprendere il consenso raccolto nei Cantoni di lingua tedesca e, soprattutto, italiana dove, non a caso, i sì al referendum voluto dall’Udc hanno toccato il 68%, percentuale ben superiore a quel 50,3% che lo ha fatto approvare, a dispetto delle previsioni.
Un chiaro segnale di intolleranza verso l’invasione di frontalieri che negli ultimi anni, a causa dell’ancora imperante crisi economica, è diventata continua ed incessante. Perché i pendolari, ai quali finora le autorità cantonali non avevano posto difficoltà, accettano salari più bassi rispetto agli Svizzeri, il che fa comodo agli imprenditori locali; pagano tasse meno onerose di quelle italiane; il mercato del lavoro è più flessibile ed i doveri burocratici meno impegnativi. Motivi che spingono imprese, disoccupati e laureati a fuggire dal fisco vorace imperante in Italia, da uno Stato indebitato e ingovernabile, da una pubblica amministrazione vessatoria, dalle rigidità del mercato del lavoro.
Prevedibile che i cittadini di un Cantone ove la disoccupazione è del 4% cerchi di porvi un freno e di dare ai connazionali la precedenza nelle assunzioni. Nonché di ridurre il via vai autostradale che blocca il traffico ed inquina. Dal che si deduce che il sì referendario non ha motivi razzisti. E’ vero che per gli stranieri che lavorano come pendolari potrebbe scattare il numero chiuso, anche perché in Svizzera, contrariamente all’Italia, i risultati dei referendum sono sempre rispettati.
Resta il fatto, però, che le conseguenze della votazione sono pesanti ma non immediate, in quanto impegnano il Governo Federale a rinegoziare entro tre anni tutti i Trattati internazionali, compresi gli accordi presi con l’UE a favore della libera circolazione delle merci e degli stranieri nel Paese. Inevitabili, tuttavia, alcuni commenti negativi da parte dei due Stati più penalizzati: la Germania, secondo la quale ciò crea “problemi notevoli”, e l’Italia ove il Ministro (al momento della votazione) degli Affari Esteri, Emma Bonino, ha detto che “l’impatto è molto preoccupante”.
Anche il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, si è dichiarato “dispiaciuto”. E, ovviamente, gli Italiani che lavorano sul territorio elvetico, i quali hanno paura delle conseguenze che possono derivarne. Ma accusare gli Svizzeri di essere xenofobi o razzisti non è appropriato. La Confederazione elvetica è un Paese tra i più democratici, tolleranti ed altruisti. Uno Stato che, in tempi d’incessante riduzione della sovranità popolare, continua a credere nelle virtù della democrazia diretta, quella che permette al popolo di esprimersi su qualunque argomento, anche se poco gradito dal Governo e dalle Istituzioni.
Alle quali ora ha chiesto di rinegoziare i Trattati esistenti e d’introdurre leggi che rispondano “agli interessi dell’economia elvetica”, al fine di maggiormente controllare il mercato del lavoro, soprattutto nelle zone di frontiera dove i direttori delle grandi società sono spesso stranieri. Non è stato un voto “contro” i forestieri, quindi xenofobo, ma piuttosto espresso “per” difendere se stessi e la propria identità. Stanchi di dover competere sul lavoro con i disoccupati del Continente, gli Elvetici si sono ribellati al buonismo dilagante nell’Unione Europea che toglie, a loro e ai cittadini dei suoi Stati membri, la sovranità, il diritto di esprimersi e di tutelare il proprio benessere.
Una decisione, quella referendaria, da valutare con attenzione in quanto anticipa il sentimento che un numero crescente di popoli europei provano nei confronti dell’UE, quell’insofferenza che probabilmente troverà conferma nelle prossime elezioni di maggio. Resta il dubbio, espresso da alcuni giornalisti, che i politici di Bruxelles si prodigheranno comunque per poter piegare alla propria volontà popolazioni che ormai non sono più libere e sovrane e che, per mantenere in vita le proprie strutture istituzionali, sono spesso obbligate ad una tassazione oltremodo onerosa e poco meritocratica.
Tra queste, in particolare la nostra Penisola, anche a causa dell’enorme debito pubblico cumulato negli anni. Una “servitù” dalla quale la Svizzera, che non ne fa parte, è esonerata. Ma che in Italia è realtà.