Il nuovo Delegato nazionale per le Comunità cattoliche italiane in Germania e Scandinavia e quindi anche editore del Corriere d’Italia è padre Tobia Bassanelli, che prende servizio pur rimanendo Missionario a Gross Gerau, nei pressi di Francoforte.
Sì, è così. Come il mio predecessore don Pio Visentin, che per problemi di salute non ha potuto concludere il secondo mandato, anch’io dovrò dividermi tra il lavoro pastorale nella comunità dove opero da oltre 35 anni e l’impegno di coordinamento tra tutte le missioni italiane in Germania. Non sarà facile, ma preferisco vedere gli aspetti positivi del duplice incarico: chi opera a livello amministrativo non deve perdere il contatto con le comunità, con le realtà di base, anzi deve poterle vivere operando dall’interno.
.
Lei diventa Delegato nazionale in un momento in cui il numero dei missionari in servizio per la pastorale in lingua italiana in Germania scende drammaticamente e contemporaneamente si alza la loro l’età media. Come vede il futuro della pastorale madrelingua?
La crisi vocazionale, evidente in tutti i Paesi europei, in particolare in Germania ed in Italia, comincia ad incidere profondamente anche nelle comunità italiane in Germania. La chiusura di sedi, il loro accorpamento reciproco o l’inserimento nelle parrocchie locali, è in corso da diversi anni. Ma nel prossimo quinquennio la situazione diventerà ancora più drammatica, almeno dal punto di vista del personale italiano. Già ora un quarto delle nostre Comunità non è retto da sacerdoti italiani, la nostra età media è sui 70 anni. I conti sono subito fatti. Come stiamo reagendo? Cercando di rendere sempre più autonome, autosufficienti ed autogestite le realtà vive all’interno delle nostre Missioni, in modo che possano continuare ad esistere anche domani, agganciate alle strutture tedesche locali, a prescindere dalla presenza o meno del missionario italiano. Prepareremo nei prossimi mesi un piano da presentare alla Migrantes in modo che la presenza della Comunità italiana tradizionale sia in ogni caso garantita nelle città più grosse e con continui arrivi dall’Italia (come Berlino, Colonia, Francoforte, Stoccarda, Monaco di Baviera). Per le altre Mci, si farà il possibile. Dipenderà da variabili che verranno di volta in volta e localmente definite.
Perché le nostre comunità faticano così tanto a rivolgersi alla pastorale di madrelingua tedesca nonostante siano in Germania da decenni?
Se il problema fosse solo linguistico, sarebbe tutto più facile e forse già risolto. Dopo tanti anni di Germania, la lingua non è più un impedimento. La vita religiosa però è l’espressione di un mondo personale più complesso, fatto di tradizioni, di formazione, di approccio anche culturale ai valori del vangelo ed alle forme di pastorale, di radici abituate a veicolare linfe che coinvolgono tutta la persona, anche nei suoi sentimenti, nelle sue emozioni. Ed allora la vera diversità non è la lingua, ma la mentalità, la cultura esistenziale. Per cui, in mancanza di alternative, e quando è necessario, si cerca il sacramento e la funzione religiosa (battesimo, prima comunione, matrimonio, funerale,…) nella parrocchia tedesca. Non altro, purtroppo. Si preferisce – dove è presente – la comunità italiana, perché più affine al proprio modo di vivere la fede.
Lei diventa contemporaneamente anche editore del Corriere d’Italia, che resta l’unico giornale italiano in Germania di dimensioni nazionali. C’è un futuro per la stampa italiana in Emigrazione?
Se guardo agli anni ‘70 ed ‘80, l’emigrazione pullulava di pubblicazioni: erano l’unico modo per far girare informazioni e idee, e di tessere collegamenti all’interno della diaspora italiana. Ora tantissime testate sono scomparse. Con l’avvento dei nuovi media, dalle trasmissioni via satellite ad Internet, tutto il mondo dell’informazione è cambiato. Se queste nuove realtà mettono in difficoltà i colossi della carta stampata, figuriamoci le pubblicazioni di categoria, come sono quelle per gli italiani nel mondo. Che possono avere un futuro solo se trovano qualcuno che le sponsorizza e le finanzia. Per questo ritengo fondamentale che lo Stato italiano continui a sostenere le testate dell’emigrazione, magari migliorando i criteri di selezione e di distribuzione dei fondi, ma in ogni caso garantendoli. E sono grato alla Conferenza Episcopale Tedesca per il contributo annuale che ci garantisce, per noi determinante.
Come sarà il giornale che Lei ha in mente?
Il Corriere d’Italia è un mensile e viene distribuito utilizzando una grande mole di lavoro volontario (alcuni versano una minima quota per riceverlo a casa, e le Missioni cattoliche una quota di sostegno). È rivolto agli italiani in Germania. Partendo da questi dati di fatto, lo vedo più come una pubblicazione di riflessione e di approfondimento che di cronaca (a parte la sezione che riguarda la vita degli italiani in Germania). Le rubriche informative, le corrispondenze ed i dibattiti vi devono trovare ampio spazio, meno le tematiche del varietà o dello sport (a meno che non riguardino la cultura e lo sport degli italiani in Germania), che possono andare bene in una testata costretta a rincorrere gli abbonati, meno in una distribuita gratis o quasi. Vorrei vedervi più Europa, più multicultura, più tutela di tutte le minoranze, più mondo del lavoro, più ordine nel raggruppare le tematiche, più attenzione al cammino ed al dibattito in corso all’interno delle nostre Comunità. Le foto di mezza pagina non mi appassionano, specie se di personaggi di cui parla già con abbondanza la stampa nazionale. In fondo, mi piacerebbe una pubblicazione con più contenuti e più “mirata” alle nostre realtà, se possibile anche con più coinvolgimento dei lettori.