Partecipando ad un congresso medico sulle malattie renali, uno dei vostri reporter dal mondo della medicina ha avuto la fortuna di assistere ad una lettura magistrale del Prof. Kirkwood, ricercatore inglese nel campo geriatrico. La sua visione del fenomeno naturale, così chiara e basata sulla composizione di dati scientifici di estrazione molto diversa ci ha entusiasmato, e perciò abbiamo deciso di condividere con i lettori del Corriere d’Italia il suo punto di vista. Di seguito troverete una sintesi del suo pensiero. Per chi voglia approfondire, consigliamo il bell’articolo: Understanding the odd science of aging, pubblicato su Cell (vol 120, 437-447, 2005).

PRIMA PARTE: COSA OCCORRE SAPERE

L’invecchiamento, che cos’è?

Invecchiare è un qualcosa di ineluttabile della nostra vita, e viene chiaramente indicato da un aumento della fatica che sentiamo nel compiere i gesti quotidiani come salire le scale, pulire la casa o semplicemente camminare, dalle ossa indebolite e facili a rompersi e dalle malattie croniche che normalmente accompagnano l’anziano. Infatti, l’età avanzata è il fattore di rischio principale per una lunga serie di malattie croniche, come la cataratta, il cancro, il morbo di Alzheimer. L’invecchiamento è comunemente definito come declino progressivo e generalizzato delle funzioni vitali, con conseguente aumento della vulnerabilità all’ambiente in cui viviamo, con crescente rischio di ammalarci ed infine di morire. L’invecchiamento è anche associato ad un declino della fertilità.

Perché dobbiamo invecchiare?

In effetti la vita è un qualcosa che dal punto di vista della fisica non ha grande stabilità, ma al contrario la sua esistenza è continuamente messa a rischio da una serie di fattori sia interni che esterni. Mantenere la vita, dal punto di vista biologico richiede un grande e continuo lavoro, non garantito sul lungo termine. Rifacendosi alle teorie di Darwin, si può pensare che l’invecchiamento prevenga il sovraffollamento, che comporta un veloce esaurimento delle risorse, ma anche favorisca l’evoluzione adattativa all’ambiente in cui viviamo grazie al ricambio generazionale. Dobbiamo però fare una distinzione fra noi, uomini del ventunesimo secolo e la vita selvaggia. In natura, raramente un animale sopravvive fino all’età in cui manifesta la sua vecchiaia. Normalmente incidenti, predazione da parte della specie superiore nella catena alimentare, fame, malattie, freddo pongono fine alla vita ben prima che si possa definire anziana. Nella vita selvaggia, l’invecchiamento gioca perciò un ruolo molto marginale. L’invecchiamento potrebbe perciò essere dovuto alla necessità di sostituire gli elementi che non sono più in grado di contribuire alla riproduzione di una specie. Quindi questo processo, che a livello individuale vediamo come negativo, sarebbe positivo a livello di specie o di gruppo.

L’invecchiamento è quindi programmato?

Questa domanda non ha una risposta chiara. Se da un lato noi tutti sappiamo che in alcune famiglie c’è una grande concentrazioni di longevi, d’altro lato sappiamo anche che persino due gemelli omozigoti (perfettamente uguali dal punto di vista genetico) possano avere aspettative di vita molto diverse. Molte ricerche in questo senso sono state effettuate su un animale molto semplice, un nematode, ovvero un piccolo verme. Le ricerche sono facilitate dal fatto che questo animaletto è completamente mappato dal punto di vista genetico, e quindi non ha più segreti per noi. La ricerca, che ha fruttato il premio nobel all’autore, conclude che nonostante esistano parecchie mutazioni dei geni in grado di estendere la longevità del vermiciattolo, nessuna è in grado di abolire completamente il processo di invecchiamento. La conclusione di tutti questi dati è perciò che nell’organismo vivente esista una pianificazione della vita, ma che questa pianificazione sia relativamente debole.

Possiamo allungare la nostra vita?

Abbiamo perciò molto spazio di modificare il piano originale, sia nel senso di diminuire che di aumentare la longevità. Un vecchio studio su topi di laboratorio ha mostrato che sottoponendo questi roditori a restrizioni dietetiche, ma evitando la malnutrizione, fosse possibile estendere la loro vita fino al 50%. Studi simili sono stati effettuati anche per studiare l’insufficienza renale, dimostrando come la riduzione dell’apporto proteico, ovvero una dieta povera di proteine, potesse prolungare il mantenimento di una funzione renale deteriorata ed in ultima analisi aumentare la longevità dei topi. La restrizione calorica attenua la progressione del morbo di Alzheimer nei modelli sperimentali indotti nei topi, mentre l’obesità indotta da una dieta ipercalorica ne peggiora i sintomi. Chiaramente, una dieta ipocalorica non è sempre positiva, e non è chiaro come una restrizione dietetica in termini di calorie possa allungare la vita.

L’organismo vivente ha bisogno di continua manutenzione

Una teoria molto interessante considera lo spostamento dell’energia necessaria per la riproduzione al mantenimento e la riparazione dell’organismo. Infatti, l’organismo vivente deve usare risorse biologiche per la crescita, la riproduzione, ma anche per il mantenimento e la riparazione del suo sistema biologico. Quest’ultima funzione richiede molta energia e abbiamo già visto come la prima causa di morte nel mondo animale sia il freddo, a seguito della mancata capacità di generare calore, che richiede a sua volta molta energia. Inoltre, nel corso delle stagioni, la maggiore o minore quantità di cibo disponibile, ovvero di energia, richiede un approccio più flessibile. Le api rappresentano un esempio estremo di questo meccanismo: le api lavoratrici, quelle che vediamo vagare da fiore in fiore nella bella stagione, ricca di cibo, vivono circa 25-35 giorni. Tuttavia, quelle che nascono poco prima dell’inverno, quando il nettare diviene scarso, sono in grado di vivere 6-8 mesi. Nella stagione fredda le api non solo sono esposte ad una mortalità inferiore per motivi ambientali, ma sono anche diverse da quelle estive in molti aspetti della loro fisiologia, confermando la plasticità degli animali in risposta a stimoli ambientali. Quindi, nel corso della vita e per diversi motivi, la natura è costretta a fare delle scelte, e mettere in secondo piano i processi riparativi, i processi riproduttivi o altro a seconda delle priorità del momento. In accordo con la teoria Darwiniana, questi meccanismi sarebbero il risultato dell’evoluzione genetica. Con l’età anziana, in proporzione alla somma dei periodi nei quali i processi riparativi sono stati messi a riposo, si avrebbe un accumulo di cellule ‘non riparate’ che darebbero origine ai fenomeni legati all’invecchiamento. Fra le malattie umane, esistono forme che danno luogo ad invecchiamento precoce a seguito ad un difettoso meccanismo di riparazione del materiale genetico, il DNA. A seguito di questo danno, la cellula andrà incontro a senescenza, il tessuto di cui fa parte in atrofia con il rilascio di sostanze infiammatorie.

SECONDA PARTE: CONSIGLI PRATICI OVVERO…. ISTRUZIONI PER L’USO

Nella figura presentiamo uno schema riassuntivo di questa teoria. Nel corso della vita, lo stress, fattori ambientali e la malnutrizione (in rosso) possono causare una serie di danni casuali a livello delle molecole organiche che compongono il nostro organismo. In presenza di uno stile di vita e di una nutrizione salutare (in verde) potremmo ridurre il loro effetto nocivo. Questi danni possono venire riparati o meno. Comunque, sul lungo termine, si arriverebbe ad un accumulo progressivo di cellule con difetti più o meno gravi. La presenza di difetti cellulari spesso causa reazioni di tipo infiammatorio, che non solo possono esacerbare i danni esistenti ma addirittura sviluppare le situazioni che noi associamo comunemente all’invecchiamento, ovvero la fragilità dell’anziano, le disabilità crescenti ed infine le malattie croniche. La medicina lavora a questo livello offrendo una gamma di farmaci anti-infiammatori, ma vedete come si può fare molto agendo sulla nutrizione e sullo stile di vita. Questo è il motivo per cui abbiamo voluto farvi una sintesi sulle attuali teorie che spiegano l’invecchiamento. Nella nostra rubrica noi abbiamo iniziato a trattare argomenti in qualche modo legati allo stile di vita come attività fisica, fumo, e alla nutrizione, a cui abbiamo dato molta importanza. Anche quando abbiamo iniziato a trattare delle malattie croniche tipiche dell’anziano, fra le cause o nel trattamento abbiamo sempre citato gli aspetti nutrizionali e un corretto stile di vita. Quindi, se invecchiare è un qualcosa che non possiamo eludere, è anche vero che possiamo fare molto per invecchiare più lentamente e invecchiare meglio, che significa spostare più avanti negli anni quella fragilità tipica dell’essere anziani. Il messaggio chiaro che vorremmo perciò lasciarvi è che la quantità e la qualità della vita che ci rimane non è scritta nelle stelle (o nel nostro materiale genetico) ma che dipende largamente da noi. Anche dopo la pensione, non è troppo tardi per mettere in opera quelle azioni che magari non abbiamo potuto mettere in atto durante la vita lavorativa, che fondamentalmente hanno a che fare con una vita più sana.