I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Monti venne sfiduciato dall’elettorato e praticamente la sua carriera politica è già finita. Il Paese è da anni in una recessione a spirale, mangiato com’è da una Pubblica amminstrazione che erode ormai il 45% del Prodotto interno lordo. In pratica erode le risorse che servono al Paese per crescere, per fare ricerca, per instruire, per diventare moderno. Monti era partito con ottime intenzioni, ma aveva troppa soggezione per i partiti che lo sostenevano in Parlamento.
I quali a loro volta erano guidati da lobbies di varia natura, in particolare della pubblica amministrazione. Come funziona il meccanismo lo abbiamo visto in particolare al Ministero degli esteri. Era al governo Berlusconi. Il ministro delle finanze era Tremonti. Il ministro degli esteri Franco Frattini, chiamato dagli amici del Ministero il Senzapalle. Tremonti, con più esperienza parlamentare rispetto a Monti, si decise per i tagli con il sistema del prato inglese: un tot per cento per ogni ministero. Solo che, all’interno di ogni ministero, i tagli venivano poi spalmati dalle lobbies su altri, su chi non era protetto. Nel caso del Ministero degli Esteri, i tagli furono spalmati sugli italiani all’estero e sulla Cooperazione e sviluppo, mentre i diplomatici videro le loro indennità crescere, adeguarsi, gonfiarsi.
Oggi un diplomatico porta a casa in un mese un mucchietto di quattrini, tra stipendio e indennità varie, che un lavoratore normale vede si e no in un anno (più no che sì). Ora, veniamo al governo Letta. Dico subito che umanamente stimo molto il presidente del Consiglio. Ha avuto il coraggio di prendere in mano una situazione al limite della catastrofe, e ha dato un attimo di tranquillità gli investitori e di credibilità al sistema. Letta è ben cosciente dei pericoli che corre. Il Pdl aspetta soltanto che i sondaggi gli siano favorevoli per impallinarlo.
Ma Letta deve temere soprattutto i suoi, che non gli perdonano il fatto di avere fatto coalizione con lo zietto di Ruby. La vicenda di della mancata elezione di Prodi alla presidenza della Repubblica gli ha mostrato come il suo sia un partito che umilia le sue menti più lucide (in questo somiglia peraltro molto alla Chiesa cattolica) per privilegiare l’appartenenza allo stallatico, per non dire alla mediocrità. Letta sa, per essere egli stesso un apparatcijc, che i partiti sono inammovibili e vendicativi: soprattutto, se non controllati, sono strumenti per moltiplicare i privilegi; strumenti che utilizzano le grida in piazza per non cambiare nulla.
Nonostante questo, ha fatto una scelta per il Paese, e ciò va a suo onore. Chapeau! Però rimane lo snodo delle spese della politica e della pubblica amministrazione, fatta di migliaia di direttori generali, di sottodirettori, di alti funzionari di Stato, regioni, province, comuni, che stanno mandando a picco il Paese. Noi pubblicammo qualche tempo fa l’impressionante elenco (con nomi, cognomi) dei direttori generali della Regione Abruzzo, con rispettivi guadagni. Una cosa da far accapponare la pelle. Letta sa che difficilmente verrà fuori da questo „dilemma dell’esquimese“, quindi ha cercato da subito una strada diversa, nello stile del suo parigrado Hollande: aumentare il debito per immettere risorse nel sistema.
In Giappone e negli Stati Uniti, ciò ha portato a risultati positivi, almeno nel breve periodo (e del resto la politica guarda soltanto al breve periodo). Benissimo. Però in questa scelta c’è un rischio forte per il Paese. Anzi, due! Il primo è che presto o tardi il debito va pagato. Il secondo è che, così facendo, si rimandano a filippi le riforme necessarie affinché il Paese si modernizzi, con grande goduria per la politica e per l’elenco smisurato dei Commis di Stato (e di regione e di provinia e di comune). Perché costoro sanno che il conto della crisi non lo pagheranno mai.
Appena si sarà sgonfiata l’euforia del debito, il conto arriverà di nuovo al cittadino. Appena nominato, Letta ha fatto un viaggio a Berlino e in altre capitali d’Europa, per presentarsi e per presentare il suo programma di governo. In Germania, si sarà forse domandato perché, in Germania, a differenza di quanto è successo in Grecia, in Italia, in Spagna, la ristrutturazione non ha comportato un aumento delle tasse bensì uno snellimento del sistema e ad un aumento della competitività dell’economia. Beh, il segreto sta tutto lì. La ristrutturazione ha toccato le spese inutili, e non si è avuto alcun aumento pressione fiscale per il cittadino!