In realtà, con le malattie croniche, il successo e l’insuccesso sono condivisi fra il medico ed il paziente. Il motivo è molto semplice: in una malattia cronica il 90% della gestione è in mano al paziente stesso, che quindi deve essere in grado di prendere le decisioni corrette giorno per giorno. Il modello del medico che gestisce direttamente funziona solamente nelle malattie acute, dove in questo caso il paziente è spesso un soggetto passivo. Questo argomento non è completamente nuovo per il Corriere d’Italia, in quanto da noi in parte già trattato nel numero di settembre 2012, ma in questo numero cercheremo di ampliarlo e dargli una prospettiva più concreta con riferimenti a situazioni reali e riconoscibili.
PRIMA PARTE: COSA OCCORRE SAPERE
Il vecchio modello
Purtroppo il nostro sistema sanitario storicamente ha posto l’attenzione sulle malattie acute. Ne consegue che molti medici tendono ancora semplicemente ad ‘ordinare’ al paziente quello che deve fare senza perdersi in troppe spiegazioni, ed il ruolo del paziente è assolutamente passivo. In tempi più recenti si è cercato di spostare il focus su quelle croniche, che con l’invecchiamento della popolazione divengono sempre più importanti. Il primo passo è stato quello di migliorare l’aderenza alla terapia prescritta. Non si da perciò più potere al paziente, semplicemente si sottolinea al paziente l’importanza della corretta assunzione della terapia prescritta. Il buon paziente è perciò obbediente al medico che ordina. Purtroppo l’approccio si è presto dimostrato insufficiente in quanto nelle malattie croniche non è sufficiente assumere una compressa di un farmaco al mattino, operazione relativamente semplice da ottenere, ma molto spesso occorre cambiare il comportamento (alimentazione, cessare il fumo, esercizio fisico, eccetera). In realtà anche la semplice pillola da prendere al mattino può dare problemi. Il paziente legge il foglietto informativo con un lungo elenco di effetti collaterali e molto presto inizierà ad attribuire al farmaco ogni sintomo che crede di percepire (esempio stipsi). Da qui, il passo ad interrompere la terapia è breve, senza tenere conto che comunque i benefici del farmaco sono largamente superiori agli effetti collaterali. Nel caso della necessità di cambiare le abitudini, come la richiesta di cessazione del fumo, è chiaro che nessuno mai obbedirà al medico che chiede di smettere di fumare. Occorre fare un ulteriore passo, rendendo il paziente responsabile della sua salute e dargli un ruolo attivo nella sua cura. Il rischio ovviamente è che il paziente da attivo divenga attivista. Uno dei motivi principali per la navigazione in Internet è la ricerca di informazioni sulla salute. Purtroppo non tutte le informazioni disponibili sono valide ed aggiornate, esistono anche siti che disinformano i lettori, che non hanno alcuna arma per distinguere la buona informazione dalla cattiva. Abbiamo così tutti gli ingredienti per una situazione conflittuale fra il medico, che non ha tempo di spiegare, ed il paziente che si convince che la sua terapia è sbagliata o addirittura dannosa.
…e l’alternativa, la ‘scelta informata’
Esiste un modello sanitario più efficace nel trattare i malati con malattie croniche? La risposta è positiva, a patto che si formi un team terapeutico coeso che ponga il paziente con le sue necessità e problemi al centro e nel contempo che il paziente sia disposto a giocare un ruolo attivo nella sua terapia. Ci sono almeno tre motivi per cui occorre passare a questo modello:
• Per la maggior parte delle malattie croniche, si stima più del 95%, la cura giorno per giorno deve essere gestita dal paziente (o dai suoi familiari), e le decisioni prese giornalmente hanno un grande effetto sulla riuscita della terapia e sulla qualità di vita.
• Le terapie come descritte nelle linee guida sono indicazioni per la media della popolazione, ma non è detto che siano applicabili a tutti senza adattamenti. Molti dettagli che potrebbero non essere noti al medico giocano un ruolo importante. In realtà solo il paziente stesso può dirsi esperto della sua vita. Il paziente va quindi istruito, bisogna che gli vengano forniti tutti gli elementi di conoscenza clinica che gli permettano di gestirsi. Occorre perciò mettere la malattia e la sua terapia nel contesto della vita del paziente, e fornirgli gli elementi necessari per una correzione delle false abitudini ad esempio alimentari, se diabetico.
• Infine, è giá stato dimostrato da numerosi studi clinici che se il paziente con una malattia cronica è coinvolto nella sua terapia, beneficierà di una migliore sopravvivenza.
SECONDA PARTE: CONSIGLI PRATICI OVVERO…. ISTRUZIONI PER L’USO
L’importanza dell’educazione
Il vecchio approccio di riunire i pazienti in una sala, farli sedere su una poltrona per un’ora per poi intrattenerli con una lettura sull’argomento non funziona meglio di ordinare al paziente, ad esempio, di perdere 10 kg di peso. Al contrario, se vogliamo veramente mettere al centro il paziente, dobbiamo permettergli di guidare il processo, partendo dalle sue domande. Ovviamente, il pacchetto educativo deve essere completo, e per far ciò occorre che la lista di conoscenze che occorre trasmettere sia chiara. In questo modo si sposta il momento educativo dal piano generale in un contesto scientifico ad un piano personale in un contesto pratico, con risposte a domande sul genere di: ‘cosa faccio se…’. Le informazioni base da trasmettere partono dalla costatazione della assoluta serietà della condizione morbosa. È necessario, in quanto tanti pazienti sottovalutano la pericolosità della propria malattia cronica, come il diabete, giudicandolo erroneamente sulla base della terapia (ad esempio una compressa di antidiabetico orale) e della iniziale mancanza di sintomi. In secondo luogo, il paziente deve capire che qualunque cosa faccia durante il giorno può avere un’influenza sulla salute. Ad esempio, per un diabetico decidere di camminare fino al supermercato invece di prendere l’auto, o mangiare un cibo invece di un altro può influenzare il successo della gestione della glicemia. Il terzo punto riguarda le opzioni: nel caso del diabete ‘mangio di più ed assumo più insulina o mi controllo e prolungo la mia passeggiata?’ Il paziente deve imparare a gestire la malattia in modo continuativo, ora per ora, utilizzando tutti i mezzi terapeutici disponibili. Infine, il successo del momento educazionale si può dire completo solo se il paziente ha acquisito le informazioni necessarie e sufficienti a portarlo alla decisione di cambiare le sue abitudini.
Occorre stabilire degli obiettivi condivisi
Se si vuole coinvolgere il paziente nella sua terapia, bisogna anche essere in grado di misurare il successo, in primo luogo del paziente stesso. Occorre quindi un parametro, che rifletta una buona terapia e un obiettivo da raggiungere. Proseguendo con l’esempio del diabete, un esame di laboratorio chiamato ‘emoglobina glicosilata’ riflette il grado di controllo glicemico nel medio periodo. Un paziente potrebbe presentarsi al medico con un valore iniziale di 8.3%, indice di un cattivo controllo. Dopo il processo di potenziamento delle conoscenze del paziente, si può stabilire l’obiettivo di arrivare in 3 mesi al valore di 7%, indice di un buon controllo glicemico. Ovviamente, in questa fase non si può dire al paziente ‘ci vediamo fra tre mesi’, ma occorre seguire passo a passo i possibili miglioramenti, rinforzando il paziente nei suoi dubbi ed aiutandolo a capire cosa può fare meglio. Ogni volta si controllerà il paramentro, e i graduali miglioramenti incoraggeranno il paziente a fare meglio. Se si creerà il corretto spirito di collaborazione fra l’anziano ed il medico, il risultato verrà raggiunto, ma alla base del successo ci sarà la confidenza del paziente ad aprirsi al medico con tutte le domande a cui deve trovare risposta e la disponibilità del medico di ascoltarlo e aiutarlo.
… e in conclusione
Il modello che vi abbiamo descritto richiede un paziente che diviene adulto e responsabile di se stesso ed un medico che lo aiuta a diventarlo. In questo modo la terapia sarà sicuramente la migliore possibile, e i risultati a lungo termine non mancheranno.
Cosa occorre?
Il tempo e l’attenzione. Il medico e la sua equipe devono essere disponibili e dedicare del tempo a preparare il paziente, ma è un investimento con ritorno. Infatti nel futuro il medico dovrà dedicare meno tempo a gestire le complicazioni, in quanto non avranno modo di svilupparsi. Anziani, chiedete al vostro medico che vi aiuti a gestire la vostra malattia mentre noi cerchiamo di aiutarvi con questa rubrica, che potrebbe essere più efficace se stimolata dalle vostre domande.