“Il compito, non facile, per il quale a suo tempo fui chiamato a Francoforte per dirigere la Banca Centrale Europea è quello di dar vita ad una politica monetaria omogenea per l’intera euro-zona, vale a dire una politica valida per tutti i 19 paesi che ne fanno fanno parte. Non soltanto per uno solo di questi paesi, perché in questo caso il risultato sarebbe l’instabilità dell’intera area dell’euro e quindi negativo per tutti. La difficoltà sta però nel dover fissare un comune tasso d’interesse per tutti i paesi della Ue, nonostante che il loro sviluppo economico sia estremamente diverso”. Così si è difeso il presidente della Banca Centrale Europea (Bce), Mario Draghi, rispondendo alle molte critiche che gli vengono ripetutamente mosse dalla Germania, il paese più importante dell’Unione monetaria.
A partire dal ministro delle Finanze Wolfgang Schaueble in particolare, agli economisti, alle banche in difficoltà perché costrette a depositare il loro denaro a tasso negativo presso la Bce, per finire con il semplice uomo della strada il quale ormai dal denaro affidato alla sua banca, frutto dei risparmi di tutta una vita di lavoro, ottiene soltanto un redditto molto esiguo e in qualche caso addirittura nullo.
Critiche tendenziose
Il presidente della Bce Mario Draghi ha preso posizione nei confronti di molte critiche che ormai abitualmente gli vengono rivolte nel corso di due interventi prima al Parlamento Europeo di Bruxelles o poi al Bundestag di Berlino dove si è anche incontrato con la cancelliera Angela Merkel. È vero, ha precisato Draghi, che gli istituti di credito europei soffrono di bassa redditività ma ciò non è colpa della politica dei bassi tassi d’interesse alla quale per il momento non è possibile per il momento rinunciare, bensì, a un certo numero di fattori tra cui anche l’eccessivo numero delle banche (overbanking) che sono attive nei paesi dell’euro-zona. Anche in Germania le due più grandi banche del più importante paese dell’euro – Deutsche Bank e Commerzbank – sono impegnate in un radicale processo di riduzione delle loro filiali. Alla Commerzbank, dove attualmente lavorano più di 50mila persone, è all’esame la riduzione per i prossimi anni di altri 9000 posti di lavoro dopo i 5000 già eliminati a partire da 2013. La ristrutturazione della Deutsche Bank sarà ancora più vasta, ammesso che riesca a superare indenne senza un intervento statale lo scandalo immobiliare che la vede accusata negli Usa e che potrebbe costarle una penalità di 14 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il semplice investitore, quello tedesco in particolare ha sempre visto con favore la classica, limitatamente remunerativa ma però sicura forma del libretto di risparmio che la sua banca di fiducia gli assicura. Il problema è che oggi il tasso d’interesse di questo molto popolare tipo d’investimento è ormai ridotto al minimo. Purtroppo, osserva Draghi, la gente, molto influenzata dalla stampa tedesca, non si rende bene conto che i bassi tassi d’interesse sono ben compensati dal basso tasso dell’inflazione per cui se si fa il conto – interessi meno inflazione – si ha un risultato che in media è il più alto rispetto al decennio 1990 quando gli interessi dei libretti di risparmio sembrano cospicui ma poi poi a ben vedere alla fine venivano più che dimezzati dall’alta inflazione.
Accuse reciproche tra Berlino e Bce
Oggi il tasso d’inflazione in Germania si aggira attorno a 0,1% e semmai il problema sarà quello di evitare che il tasso scenda ancora innescando il fenomeno della deflazione. Uno sviluppo giustamente molto temuto perché in un regime di deflazione consumatori e aziende sono portati a rinviare acquisti di beni e servizi nell’aspettativa di ulteriori cali dei prezzi con il risultato di aprire la strada a una grave recessione economica.
Gli economisti tedeschi sono molto preoccupati per l’espansiva politica monetaria della Banca Centrale Europea (Bce) e ritengono sia questa la causa delle attuali difficoltà dell’Unione Europea, a prescindere naturalmente dai problemi causati dalla Brexit. Il presidente della Bce Mario Draghi nei suoi interventi a Bruxelles e a Berlino ha sostanzialmente sostenuto che i tassi bassi d’interesse sono la conseguenza delle carenze delle politiche economiche e fiscali dei vari governi. Carenze che hanno l’effetto di riversare sulla Bce un eccesso di responsabilità.
Soprattutto i paesi che dispongono di un sufficiente spazio d’azione fiscale, e tra questi c’è senza dubbio lo Stato tedesco – che nel 2015 grazie ai bassi tassi ha risparmiato qualcosa come 28 miliardi di euro – dovrebbero sviluppare a questo punto più iniziative considerando che per lo sviluppo dell’economia di un paese sono determinanti non tanto i tassi, che sono di competenza della Bce, quanto invece il regime fiscale e la produttività, due settori la cui responsabilità ricade solo sul governo.
Per quanto riguarda in particolare le banche, Mario Draghi ha precisato che “la politica monetaria della Bce non è il fattore determinante per il loro livello di redditività”. Grazie ai bassi tassi le banche concedono molti più crediti e per capire la portata degli effetti positivi basta pensare all’attuale eccezionale boom del settore immobiliare tedesco.
Inoltre, da parte tedesca non si considerano con la dovuta attenzione gli effetti negativi che un aumento dei tassi avrebbe sui paesi dell’Europa meridionale, Italia compresa, non ancora del tutto usciti dalla crisi. Ma questo, a quanto pare, è un discorso che alla Germania sembra interessare fino a un certo punto e soltanto sotto certi aspetti.