Egregio dott. Montanari, io sono un pescivendolo, vado tutti i giorni al mercato, compro il pesce fresco e buono, non compro il pesce marcio perché se lo do ai miei clienti li perdo. Il giornalista (perdonate questa mia riflessione da ignorante) tutti i giorni va in piazza, in senso metaforico, si guarda in giro e riempie il giornale di verità, perché questo dovrebbe essere il suo lavoro se vuole che il cliente, lettore, continui a leggere il giornale, così come io spero si faccia nella mia pescheria.
Leggo che gli italiani sono poco lettori di giornali, e il dato è in aumento; mi chiedo, forse è colpa delle notizie che sono sempre più marce che vere? Vincenzo Giustofino, Marburg
Egregio signor Giustofino, questa Sua è una lettera davvero interessante. Intanto cominciamo dalle differenze. Quella fondamentale tra un giornale e un pesce è che il giornale in Italia viene finanziato con danaro pubblico, il pesce no. E sa perché in Italia i giornali vengono finanziati? Perché altrimenti non esisterebbe forse neppure la carta stampata, che in un Paese civile ci vuole. E gli italiani (o buona parte di loro) si accontenterebbero delle verità della televisione, di quello che gli racconta Emilio Fede, o di qualche foglio di gossip per sapere cosa fanno Kate Middleton e William.
Ora, tutto ciò non è colpa degli italiani, che non sono più stupidi di altri popoli europei. È colpa piuttosto -a mio avviso- del fallimento della scuola pubblica in 60 anni di storia repubblicana. Ma questo è un altro discorso. La conseguenza tuttavia è la seguente. Quando un italiano vuole mangiare il pesce, lo vuole fresco e di qualità. Il pescivendolo sa che chi decide è il cliente, perché senza il cliente tutta la baracca non funziona. Quindi il pescivendolo ha piena coscienza che il vero padrone del pesce è il cliente, nel senso che è il cliente che decide sulla qualità, sul tipo e perfino sul prezzo. Per i giornali è diverso. Il pescivendolo in questione, cioè l’editore, sa che il vero padrone del giornale è il politico che lo finanzia, o la ditta che lo sostiene, perché il cliente, se lo trova gratis o quasi, il giornale lo legge, altrimenti si accontenta di Emilio Fede o di Novella 2000. Vuol dire che in Italia un giornale indipendente non c’è (o quasi). Il giornalista sa, quindi, che se vuole guadagnarsi la pagnotta deve obbedire al padrone ed abbaiare contro i nemici del padrone.
Quindi se Lei legge Il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, troverà un mondo pieno di comunisti, di traditori, di magistrati cattivi. Se Lei legge la Repubblica, di proprietà della famiglia Caracciolo, Lei troverà che lo stesso mondo è pieno invece di escort, di minorenni e di ruffiani. Eppure il mondo è lo stesso per tutti, dirà Lei. Certo, però sono diversi i padroni dei giornali e le loro esigenze. Per questo la verità viene continuamente addomesticata, guidata, quando non manipolata o usata per intimidire gli avversari del padrone. In questo senso Lei si ricorderà senz’altro la questione Boffo.
Di più. Le faccio un esempio pratico. In Italia c’è urgente bisogno di una riforma della giustizia, che è lenta, forte con i deboli e debole con i forti. Ma la riforma non può – a mio avviso – essere un pretesto per dare l’impunità alle persone che ricoprono alte cariche dello Stato, una volta che sia terminata la loro funzione. Altrimenti la legge non sarebbe uguale per tutti. Su questi e altri temi Lei ha visto gli opinionisti spaccarsi in due a seconda di chi li pagava. Per la televisione, infine, il discorso è ancora più complicato. Noi abbiamo una Rai che è finanziata con denaro pubblico ma si comporta come una televisione commerciale. In Italia, ad ogni cambio di maggioranza, vengono cambiati i direttori generali della Rai e vengono inseriti ai vertici dell’azienda i lecchini di partito: una cosa questa che, se fatta in Germania o in Inghilterra farebbe cadere un governo.
In questo senso il sottoscritto ha avuto un paio d’anni fa uno scontro violento con l’allora direttore di Rai International, Piero Badaloni, proprio perché gli mandai a dire -a mezzo stampa- che la sua nomina era dovuta non alle sue capacità, bensì alla sua militanza politica. Le tracce di questo scontro sono ancora reperibili per internet. Le risparmio poi la questione del conflitto di interessi, che da vent’anni spacca il Paese e che nessuno è in grado di risolvere. Non il presidente del Consiglio, Berlusconi, che non ha alcun interesse a farlo, né la Sinistra, che dorme il sonno dei giusti e, anzi, approvò a suo tempo la legge che la permette: la cosiddetta legge Mammì. Ma tornando alla carta stampata, di cui già il commediografo Bertold Brecht, anticipando la Sua lettera di un secolo e mezzo, diceva che è buona solo per incartarci il pesce; tornando alla carta stampata, dicevo, non ho capito a chi Lei si riferisca. Se Lei si riferisce a noi, Le rispondo subito. Da noi le notizie sono sempre vere, tant’è che dal 1999, anno in cui ho cominciato a dirigere questo giornale, non ho mai ricevuto una denuncia per diffamazione. E di cose ne abbiamo dette: tante e pesanti. Però cerchiamo di non utilizzare la verità in maniera strumentale, come fanno abbondantemente i colleghi in Italia.
Le dirò di più. Proprio mentre scrivevo queste note mi ha telefonato per intervistarmi un collega dell’agenzia stampa Kna, -che è una agenzia stampa tedesca di livello nazionale- a proposito dei 60 anni del giornale. Alla domanda, come abbiamo fatto, in piena controtendenza e a parità di bilancio, a moltiplicare la tiratura, gli ho risposto proprio questo: abbiamo raccontato sempre la verità e abbiamo dato alla gente la possibilità di esprimersi. Una lettera come la Sua, infatti, su un giornale „normale“ non l’avrebbero mai pubblicata. Cari saluti, Mauro Montanari