I corrispondenti stranieri raccontano che le loro testate vogliono sapere di noi molto più che in passato, vogliono sapere di Berlusconi e delle escort, dei suoi procedimenti penali e così via. Vogliono sapere di noi perché dietro a questa storia c’è un mistero accattivante, quello dell’italiano che resta a guardare di fronte a tutto questo.
Nell’ultimo libro di Mariano Sabatini, “L’Italia s’è mesta”, la corrispondente spagnola per El Mundo, Irene Hernàndez Valasco, racconta: “Ogni settimana scrivo almeno dieci pezzi e sono per lo più brutte notizie”. E fa riflettere che il futuro dell’italiano sia oggi appeso all’interrogativo se “sia vero o meno che il nostro Premier sia andato a letto con Ruby o altre escort”, anticipando inutilmente il verdetto oggettivo dei magistrati.
Tutto questo, però, non ci fa bene, perché l’idea che il mondo si sta facendo di noi è quella di un Paese con un governo debole ed un futuro incerto e questo allontana gli investimenti e la crescita di cui necessitiamo. Chi ci guarda da fuori fa fatica anche a credere che gli italiani in realtà non siano né come Berlusconi né come tutti gli altri politici oggi al Parlamento o al Governo. Fa fatica a credere che, in fondo, gli italiani, se non per una buona dose di cinismo in più, sono rimasti quelli di sempre, quelli del Paese in cui “tutti possono dire la loro su quale sia il pomodoro o il vino migliore di un altro”, racconta la corrispondente tedesca Constanze Reuscher; i cittadini di un Paese in cui “la qualità è tenuta in gran considerazione, e non è una cosa esclusiva, ma popolare, diffusa”.
Il Paese in cui c’è “una grande cultura nel dna – echeggia l’americana Kathryn Carlisle del Business Week -, anche tra quelli che non vanno al cinema, al teatro o che ascoltano musica classica tutti i giorni”. Insomma, gli altri continuano a vedere gli italiani come il popolo della cultura e si stupiscono che a rappresentali sia invece una classe dirigente ormai al degrado culturale. Forse l’italiano è anestetizzato allo scandalo; ne ha viste viste così tante che nulla più lo turba. Se lo spiega così l’inglese Guy Dinmore del Financial Times, che lo descrive come “troppo tollerante verso i disservizi”, così come la Hernàndez Velasco che parla della sua “flessibilità” come di una “cosa stupenda, che gli consente di sopravvivere sempre”, ma che diventa anche “il suo difetto”.
Spesso si sente anche dire che il vero problema della politica italiana è in realtà la mancanza di un’alternativa a Berlusconi, senza pensare che la classe dirigente di oggi è la stessa che ci accompagna ormai dagli anni ’80, con gli stessi copioni di allora, come se in Paese non ci fossero altri registi o attori disponibili. Ci sono voluti vent’anni perché l’italiano si accorgesse che forse quel copione non sarebbe mai finito; ed ecco che arriva il “porcellum” di Calderoli: la legge elettorale che, spezzando il legame voto/candidato, ha scongiurato l’ipotesi di un rinnovamento, permettendo ai soliti di ripetersi all’infinito, anche se colpevoli di errori imperdonabili. Il Parlamento si è trasformato nel luogo dei nominati; la politica è uscita fuori dalle piazze e si è rinchiusa negli uffici, tra telefoni e fax in cui circolano migliaia di nomi da inserire nelle liste.
Nomi che l’elettore non ha mai sentito, visto che oggi l’italiano non vota più il suo rappresentante, ma il partito, un’entità generica che sceglie per lui chi deve rappresentarlo in Parlamento. Ormai liberi dal giudizio e dal controllo dell’elettore, i politici possono allora fare a meno delle gavette; meglio gambe lunghe, belle ragazze e vecchi burattinai. Così, un lombardo viene messo primo nelle liste siciliane o calabresi, in tutte tre o in tutta Italia, non importa, basta che non ci sia il pericolo di perdere la poltrona; così come una sprovveduta showgirl, in cambio non si sa ancora di cosa, diventa ministro della Repubblica. Insomma, la politica si autoregola: i vecchi politici scelgono i nuovi, che a loro volta ne scelgono altri, secondo criteri selettivi che stanno gradualmente trasformando la classe dirigente italiana in un covo di soli malaffaristi.
Dinmore dice che “tra gli italici vizi, il più grande è la corruzione, ma nella quotidianità la gente è molto gentile”, proprio a sottolineare questa dualità del Paese, quella del malaffare, ben rappresentata, e quella delle buon pratiche, che rimane sempre più sola nella società civile. Come riappropriarsi, allora, del proprio diritto di rappresentanza? Immaginate che l’italiano ritorni a votare il suo rappresentante: credete che ridarebbe un’ennesima chance ai Berlusconi, Bersani, Casini, Fini, Di Pietro, Bossi, … di turno? Certamente no; ed invece, alle prossime elezioni, mi sa che si ritroverà di nuovo con la solita minestra.