La norma si chiama “incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia” e, caso ormai raro in Paese, è una legge bipartisan, voluta cioè da destra e sinistra italiane insieme. A potere godere delle agevolazioni non sono solo i cittadini italiani, ma anche quelli comunitari: un punto che serve a recuperare quei cervelli stranieri poco attratti dalle opportunità che gli riserva il Bel Paese.
Entrambi devono essere però laureati e al di sotto dei 40 anni; devono aver risieduto in Italia per almeno 24 mesi e svolto un’attività di studio o di lavoro fuori dal Paese d’origine o dall’Italia per un altrettanto periodo. Per ottenere gli incentivi non basta solo tornare, ma occorre essere assunti come dipendenti, esercitare un’attività di impresa o di lavoro autonomo e trasferire il domicilio entro 3 mesi dall’avvio dell’attività o dall’assunzione. Gli incentivi sono sotto forma di riduzione del reddito imponibile, che viene calcolato solo al 20% per le donne e al 30% per gli uomini, per un periodo di tre anni e fino al 2013.
Per svolgere tutte le pratiche amministrative necessarie per il proprio rientro, i richiedenti potranno affidarsi agli Uffici consolari, che si confermano quindi elemento fondamentale per il funzionamento di un Paese, soprattutto in un periodo storico come l’attuale, in cui le forti migrazioni riguardano tutti e soprattutto noi italiani. La norma prevede anche che “il governo si impegna a stipulare con gli Stati esteri accordi bilaterali previdenziali” per il riconoscimento del “diritto alla totalizzazione dei contributi”; così come “le regioni, nell’ambito delle loro “disponibilità”, "possono” riservare ai beneficiari una quota degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”. Se e come questi tre punti verranno affrontati è ancora tutto da verificare.
La norma è alquanto discrezionale e la sua efficacia appare marginale, viste le problematiche sui temi aperte in Paese. Per il resto, la legge è un buon compromesso per chi vuole aprire un’impresa in Italia, decisamente meno per i lavoratori dipendenti. Il tasso di disoccupazione giovanile italiano e lo stato di crisi in cui versano le nostre piccole imprese, infatti, fa difficilmente pensare che questi giovani riescano in massa a farsi assumere in Paese. E allora, quanti giovani riusciremo a raccogliere? E cosa faranno quando non potranno più godere degli incentivi?
La norma in questo senso presenta anche qualche passo indietro rispetto alla proposta originaria del 2009, in cui si prevedevano invece degli incentivi fiscali anche per le imprese che avrebbero assunto i giovani laureati, anche se solo nel sud Italia. Questo punto rimane però una delle proposte in cantiere, visto che – come confermano i relatori del Pd -, “la legge è solo un primissimo passo di un lungo percorso”. Sul sito di “Controesodo-Talenti in movimento”, progetto che fa capo al Partito democratico e che si occupa da tempo del fenomeno fuga, è possibile trovare il testo della legge, così come le altre quattro proposte in attesa di essere discusse.
Ci sono incentivi fiscali, borse di studio, semplificazioni burocratiche e corsi di lingua gratuiti per i laureati e gli studenti stranieri meritevoli; incentivi fiscali per coloro che lasciano il nord Italia per andare a lavorare al sud e per le imprese disposti ad assumerli; e incentivi per gli “Italians” che intendono sviluppare o finanziare una nuova attività nel nostro Paese. Se questa norma quindi riuscirà effettivamente a dare i risultati sperati è difficile per adesso dirlo; bisognerà aspettare i movimenti politici futuri. Quanto invece riuscirà a bloccare l’esodo italiano, la risposta è certamente “poco o nulla”: la norma affronta il problema quando si è già presentato e lascia i giovani italiani alle prese con gli stessi problemi di sempre.
Si chiede, cioè, agli italiani all’estero di tornare e agli stranieri di venire, ma non si fa nulla per impedire agli italiani in Paese di andare. Insomma, la legge è certo meglio che niente, ma non affronta il problema alla radice: restano il sistema di reclutamento poco meritocratico, l’alta pressione fiscale generale, il precariato, la mancanza di fondi per ricerca ed università, la disoccupazione, la gerontocrazia, il welfare scadente, etc…
Sarebbe meglio, allora, che destra e sinistra italiane incominciassero a placare i reciproci odi e rancori non solo in queste occasioni, ma soprattutto sulle grandi questioni che assillano il Paese, uscendo fuori da quello scontro mediatico e qualunquista che sta bloccando e profondamente danneggiando l’Italia, sia dentro che fuori i confini nazionali.