Si è trattato, diciamolo subito, di una vittoria dell’idea europea. Che è anche l’idea dei padri fondatori. Non però di una vittoria dell’Europa come si è sviluppata negli ultimi decenni: un monstrum di burocrazia e di interessi occulti. Quando un quarto degli inglesi, un quardo dei francesi, un quarto degli italiani dicono „no“ a questa Europa, non si può soltanto evocare il fantasma del populismo.
Il populismo cresce con l’insoddisfazione della gente, e con la sensazione che la politica non stia lì per risolvere i problemi del cittadino, bensì per proteggere privilegi propri. Ora, soprattutto il voto tetesco e quello italiano hanno salvato l’Europa e in questo l’Italia ha molto più merito, visto che l‘Euro forte e senza un controllo politico la penalizza in maniera notevole, tanto che dall’introduzione della moneta unica ha perso molti punti percentuali della sua capacità industriale. Tuttavia chi pensasse che va tutto bene si sbaglierebbe di grosso.
L’Europa deve cambiare marcia, sia sul piano strutturale, sia su quello della politica economica. Il Parlamento eletto deve avere più peso della Commissione, i cui membri nessuno ha eletto, ma sono stati nominati con il sistema delle quote: un tanto a me e un tanto a te. Devono essere avviate delle riforme sulla cittadinanza; i Parlamenti nazionali devono perdere competenze. I confini dell’Unione devono essere infine stabiliti una volta per tutte, in modo che i cittadini possano iniziare un processo di identificazione nel medio periodo.
Serve più trasparenza nelle decisioni. Infine deve essere promulgata una vera Costituzioine europea. Il passo di marcia così com’è è troppo lento e la sensazione è che a molti faccia comodo rimanere in mezzo al guado. Ma se l’Europa non cambia, difficilmente passerà il prossimo esame elettorale.