Le zone del petrolio – o vicine ad esso – del Medio Oriente sono da sempre oggetto di contese, di guerre, di eccidi. Il petrolio rende ricchi alcuni padroni locali e permette all’economia occidentale di marciare. A volte, l’accordo tra padroni locali e Occidente funziona, come nel caso degli Emirati o dell’Arabia Saudita. Quando l’accordo non c’è, è guerra.
Negli ultimi anni, tuttavia, in queste zone ormai da secoli centro di tensioni, è successo qualcosa di nuovo e terribile. Dapprima l’Occidente ha tentato violenti trapianti di democrazia rappresentativa e, là dove il trapianto è fallito (e non poteva che fallire, visto che la democrazia è figlia dell’illuminismo e del concetto di separazione tra religione e Stato) si sono affermati regimi truculenti, che agiscono nel nome di un Islam radicale, in genere sunnita.
Il Califfato, sorto in pochi mesi tra la Siria nord-orientale e l’Iraq nord-occidentale, e guidato con mano d’acciaio dal califfo Abu Bakr Al Baghdadi incarna pienamente queste caratteristiche. L’Occidente conosce il califfato di Al Baghdadi soprattutto attraverso quelle scene di decapitazione di giornalisti e tecnici che hanno scosso le coscienze di tutti. Peraltro –ed e bene ricordarlo- tra i morti ammazzati dalle milizie del Califfo se ne contano molti altri: oltre ai tanti cristiani, anche molti musulmani sciiti, che hanno rifiutato una conversione alla variante sunnita del credo maomettano.
Detto questo, è forse utile anche capire perché un regime così brutale ha potuto pienamente affermarsi in pochissimo tempo in territori così ampi e in tante coscienze umane. In un lungo reportage scritto per l’agenzia AFP, Marc- André Lagrange, già osservatore Onu in Africa, cerca di spiegare le ragioni del successo di un regime che costringe le persone ad un codice di condotta rigidissimo; un codice che cambia peraltro molto in fretta.
Dice tra l’altro Lagrange: “Vivere sotto il califfato non è semplice. Richiede grande attenzione. Quasi ogni gesto, ogni abitudine considerata normale poco tempo prima potrebbe ora violare i nuovi precetti. Chi mantiene un negozio aperto dopo il richiamo alla preghiera – e ciò avviene cinque volte al giorno – rischia una punizione molto severa.”
Il reportage sulla pericolosità della vita quotidiana nel Califfato a volte impressiona. La vita delle donne, ad esempio, è tutt’altro che invidiabile: non possono uscire sole neppure durante il giorno, e comunque coperte da una variante del burqa afgano in panno pesante che non lascia completamente scoperti neppure gli occhi. Ogni reato possibile nella sfera privata, anche commesso da altri, è da addebitare a loro. La Scharia, o legge islamica, che tra i sunniti è strettamente normativa, colpisce come è noto soprattutto le donne.
Nel califfato si fa oggi una massiccia applicazione del diritto islamico più tradizionale che prevede la tristemente celebre Haad (morte per lapidazione o crocifissione per reati religiosi o sessuali; taglio della mano per furto o altri reati). È noto l’episodio, ad esempio, di un cristiano a cui sono state tagliate entrambe le mani perché aveva toccato un Corano.
Ora, la domanda interessante, almeno per un occidentale ingenuo, è perché la popolazione si adatta in maniera tanto passiva ad una peggioramento notevole della libertà personale e della qualità della vita, anche rispetto al detestato regime di Assad? Una domanda, questa, a cui si possono dare molte risposte su diversi piani. Cerco di darne una politica. Il califfato ebbe inizio nel gennaio scorso sulle rovine della bombardata città di Raqqa, ad est della Siria, lasciata distrutta dalle truppe di Assad.
Dove prima esistevano soltanto rovine, a poche settimane dalla conquista delle milizie del Califfo, i servizi essenziali hanno ripreso a funzionare. Il califfato è riuscito ad organizzarsi con velocità impressionante, attraverso il lavoro di militanti che obbediscono ciecamente al Califfo. L’agenzia Reuters ha raccolto una serie di testimonianze di persone comuni a proposito della vita quotidiana a Raqqa, e quasi tutte sono positive.
La milizia islamica cittadina controlla con attenzione il traffico, compie le sue ronde, permette agli uffici amministrativi di ricevere il pubblico. Il sistema giudiziario dirime le liti e impartisce sentenze. Lo Stato Islamico è onnipresente: eroga l’elettricità, distribuisce l’acqua, amministra la grande diga che ha strappato all’esercito. Ed è riuscito a fare tutto ciò mantenendo spesso gli stessi funzionari pubblici che lavoravano per Assad.
A condizione, naturalmente, che facessero atto di pubblica ammenda, sposando la causa jihadista e ripudiando il passato. Su queste basi il califfato si è conquistato la fiducia di molta parte della popolazione alla quale interessa che la vita quotidiana riprenda il proprio ritmo. Che poi il Califfo compia eccidi di cristiani e sciiti, decapiti cittadini di altri Stati e limiti fortemente le libertà personali, interessa poco al cittadino comune.
E ancor meno gli interessa la chiusura di attività culturali, musei, istituzioni varie ritenute contrarie alla Scharia. Il fatto è che il Califfo crea la sua base di consenso non soltanto sull’estremismo sunnita, come sembrerebbe dalla stampa occidentale; egli agisce fortemente sull’economia; è in grado di finanziarsi e di redistribuire alla popolazione che gli è fedele il prodotto interno. Il quale prodotto interno si aggira ufficialmente su un milione di dollari al giorno, ma in realtà è molto di più. Sono soldi che vengono soprattutto dal contrabbando del petrolio estratto dai pozzi iraqueni.
Da non sottovalutare comunque l’industria dei sequestri e la vendita dei reperti dei musei sul mercato libero europeo e americano. Tutto ciò permette appunto di mantenere bassi i prezzi dei prodotti di maggior consumo e le tasse, le quali, nel califfato, crescono soltanto se si è cristiani o yazidi. Di più: la brutalità delle esecuzioni di cittadini stranieri, puntualmente riproposte dalle televisioni di tutto il mondo, è in grado di attirare estremisti e balordi anche da Occidente.
Secondo la Reuter, ne arrivano a centinaia ogni giorno. Sono prontamente arruolati nella milizia islamica, ricevono un appartamento, precedentemente requisito a qualche yazida, e uno stipendio mensile che si aggira, secondo alcune fonti citate dalla stessa Reuters, sui 400 dollari al mese. E, a quanto pare, arrivano non soltanto estremisti, ma anche ingegneri, burocrati, militari.
Il vuoto lasciato alle porte dell’Europa dal ritiro delle truppe siriane e iraquene, si riempie man mano di un soggetto politico che definire pericoloso sarebbe poco; in questo scenario si svolgono bombardamenti aerei che probabilmente creeranno altro consenso per il Califfo. D’altra parte, come fare per invertire il processo, non lo sa nessuno.