Negli ultimi tempi si è parlato, o sparlato tanto e genericamente, degli istituti bancari globalizzati e soprattutto della loro condotta, non sempre corretta verso i propri clienti. Va aggiunto, però, che questo fenomeno, attualmente non è circoscritto ad un singolo Paese o ad un continente bensì è diventato uno stato di fatto globalizzato. E le banche italiane? Le banche nostrane si sono distinte da tutte le altre per l’alto costo praticato ai servizi resi.  Insomma, sono state le più care d’Europa.  Si potrebbe pensare che anche i clienti italiani siano i più ricchi. No, certamente. Un conto corrente in Italia costa attualmente e mediamente 250 euro. In Francia 100, in Belgio 70, e in Olanda 40. In Germania, presso alcune banche, non costa niente se il cliente si attiene e soddisfa alcuni parametri. Si ricava l’impressione che gli istituti bancari italiani abbiano fatto da sempre un po’ quello che ritenevano più comodo e vantaggioso per loro, senza tenere conto della clientela. Perché queste grandi difficoltà nell’allinearsi e standardizzare i costi rispetto alle altre banche europee? I motivi, a detta degli esperti interpellati, sono molteplici, ma tutti concatenanti a un specifico sistema creditizio.  

Per moltissimi anni le banche italiane sono state abituate ad assolvere il compito degli enti pubblici. In effetti, erano proprietà dello Stato e le loro prestazioni venivano decise o dettate secondo le esigenze del momento politico.  Di conseguenza mancava “lo spirito imprenditoriale” che in definitiva è l’anima di tutti gli istituti bancari e quindi prevaleva, di più, una mentalità tipica dei funzionari statali.  Quando le banche sono state privatizzate hanno dovuto affrontare enormi investimenti per la nuova formazione del personale impiegatizio e per le ristrutturazioni interne agendo però in maniera tale che i costi dovessero essere coperti completamente dalla clientela, la quale si è vista, in breve tempo, aumentare i costi delle commissioni e il prezzo dei servizi offerti.

Anche i costi della modernizzazione tecnologica computerizzata sono ricaduti, in gran parte, su utenti ignari. Infine questi ultimi hanno fatto le spese anche del legame, almeno fino a qualche anno fa, fra gli istituti bancari, la politica e le grandi aziende industriali. Con l’apertura dei mercati internazionali, e quindi della moderna globalizzazione, molte aziende italiane non hanno retto l’impatto della concorrenza e sono entrate in crisi. I costi delle operazioni di “salvataggio” sono stati addossati ai clienti delle banche. In sintesi, le grandi aziende si rivolgevano alla classe politica e quest’ultima chiedeva finanziamenti ai gruppi bancari nazionali i quali, a loro volta, si rifacevano sui clienti. Insomma, per dirla alla bavarese, “è sempre l’ultimo a essere azzannato dal cane”.

La situazione, però, dovrebbe cambiare a media scadenza, per via degli investimenti che vengono efficacemente sostenuti dall’odierno sistema bancario nazionale e dal sempre più incalzante ed inevitabile confronto concorrenziale con gli istituti di credito europei. Rimane da chiedersi perché una transazione bancaria, cioè una spedizione di denaro, effettuata da una banca tedesca in Germania con l’uso dell’iban (international bank account nummer) verso l’Italia non costa niente, mentre viceversa, se l’ordine di transazione avviene (provvisto anche di iban) dall’Italia per la Germania, l’istituto bancario italiano incassa una somma per l’operazione affidatale. Inoltre, nel primo caso, la banca italiana destinataria della transazione proveniente dalla Germania, detrae di sua iniziativa una cifra dalla somma inviata all’intestatario dovuta per le spese bancarie.

Al cliente, in Italia, viene quindi corrisposta una cifra non riportata sul modulo di accettazione.  Questa pratica o abuso è molto diffusa tra le banche italiane, ma non viene effettuata da tutte. In proposito mi è stato riferito che vige una convenzione tra i paesi europei (una sorta di “reciprocità”) la quale regola le transazioni provviste di iban all’interno dell’area europea che non sono soggette a tasse, spese bancarie o altre invenzioni fantasiose. Il discorso, invece, cambia quando la transazione avviene senza iban; in questo caso la banca può far valere dei costi a suo carico. Perché dunque, le banche italiane non si attengono, scrupolosamente, ai regolamenti europei?  Tenuto conto dell’importanza che l’argomento riveste, sarebbe molto interessante conoscere, attraverso il Corriere d’Italia, il parere di un esperto in materia, ad esempio di un funzionario italiano presso la Banca centrale europea con sede a Francoforte.

Caro Malascalza, grazie dell’input, ci attiviamo per saperne di più