Gentile direttore, la stampa cattolica italiana in Germania ha svolto un pregevole servizio per le comunità dei migranti. Il Corriere d’Italia si inserisce in questa lodevole tradizione. Potrebbe brevemente segnalarci la sua storia e i progetti futuri?
Il Corriere d’Italia nasce nel 1951 con il nome de “La squilla”, bollettino della Missione cattolica italiana di Francoforte. Oggi è un mensile che tira e distribuisce 34.000 copie tra i circa 700.000 italiani (con passaporto italiano) che vivono in Germania. L’intenzione è quella di arrivare a 40.000 copie entro un anno. Questo, pur tenendo presente la differente periodicità, ci porrebbe non lontani da alcune realtà nazionali come il Giornale di Vicenza (42.000 copie), Il Mattino di Napoli (45.000 copie) o l’Unità (circa 50.000 copie).
Il nostro è un giornale che viene da anni segnalato come il migliore tra quelli che si pubblicano all’estero da una giuria di esperti che si riunisce presso la presidenza del Consiglio dei ministri. Ma torniamo alla nostra storia. Il giornale ha accompagnato gli italiani in Germania nella loro ormai sessantennale storia migratoria, dolorosa ma anche piena di successi.  Dapprima era un semplice veicolo per notizie, indirizzato a persone che non conoscevano la lingua tedesca e che quindi non potevano seguire i normali canali informativi.
Ora la natura del giornale è cambiata. Resta la necessità di fornire notizie generali. Ma è chiaro che esso ha dovuto subire un ripensamento radicale; negli anni è stato rivoltato come un calzino ed oggi si presenta con caratteristiche del tutto diverse. Anzitutto non è più da tempo un foglio pastorale, bensì un giornale che, pur progettato da cattolici laici, si indirizza ed è pensato per tutti, anche per quelli che cattolici, o credenti, non sono. Parla dei problemi di tutti e cerca di farlo con un linguaggio “fuori dai denti”. In questo, esso attinge alla grande tradizione giornalistica della Mitteleuropa. Tratta di temi che sono propri della vita di frontiera tra due culture, a cominciare dalla scolarizzazione dei ragazzi stranieri in Germania, fino ai problemi della previdenza. Infine parla, in maniera talvolta anche molto critica, delle politiche migratorie dei due governi. È quindi un giornale di nicchia, pur avendo anche una sua vocazione generalista.

Ha ancora un ruolo oggi, un giornale italiano all’estero?
Il ruolo bisogna trovarlo, questa è la questione fondamentale. Noi siamo gli unici a parlare alla comunità italiana su temi che le sono propri. Le faccio un esempio per capirci. Un paio d’anni fa mi capitò, durante un incontro della stampa internazionale, di parlare con una collega della Frankfurter Allgemeine Zeitung, che è uno dei giornali più importanti d’Europa. La collega mi pose la stessa domanda: qual è il nostro ruolo? Mi disse: come mai gli italiani, che da sessant’anni stanno in Germania e che, ormai, leggono il tedesco, ancora hanno bisogno di un giornale italiano? La risposta fu persino banale. È vero che molti italiani ormai leggono il tedesco, ma quando prendono in mano un giornale tedesco, la prima cosa che notano è che loro là dentro loro non ci sono. Una comunità di 700.000 persone nella stampa locale ( così come in quella nazionale) è assolutamente invisibile, non esistente, a meno che non si tratti di cose di mafia, come il caso Duisburg. Per questo, un italiano in Germania che legge un giornale tedesco, accantotiene anche il nostro.

Quali sono gli strumenti e i mezzi per consolidare un percorso ricco di solidi valori ma che la marea mediatica della superficialità, aliena ai concetti di pietas e caritas, potrebbe trascinare con sé?
Lei mi pone una domanda a tesi che contiene peraltro molti cassetti da aprire. Gli strumenti e i mezzi, soprattutto finanziari, sono quelli che troviamo sul mercato. A partire dalle sovvenzioni, quindi gli abbonamenti e la pubblicità.
L’esistenza finanziaria del giornale bisogna reinventarla anno dopo anno, ma in questo non sono pessimista. Sono invece più pessimista sull’andamento della stampa e dell’informazione italiane, che vedo peggiorare di anno in anno. E la stessa cosa vedono anche gli indicatori internazionali della libertà di informazione, che negli ultimi anni hanno declassato due volte il nostro Paese. Il perché dovrebbe spiegarlo Lei a me. Dovrebbe spiegarmi anche cose date per scontate. Ad esempio: perché ogni maggioranza che arriva al potere, per prima cosa cambia i direttori delle reti pubbliche inserendo professionisti e funzionari di partito? Una cosa che in Europa creerebbe un terremoto politico. Dovrebbe spiegarmi perché, pur con le dovute eccezioni, non esiste ormai quasi più una stampa indipendente, ma tutto viene affidato agli amplificatori di parte, ai leccascarpe di partito.  Perché il Paese, oltre a poca informazione, produce così poca cultura. Mi spieghi la disfatta della scuola e dell’università. Mi spieghi perché in Italia un giovane è trattato sempre come un pezzente, a meno che non sia figlio di qualcuno. E via discorrendo.

Ma tornando alla domanda…
Veniamo appunto alla Caritas, come la chiama Lei, che in politica si definisce “questione sociale”. Da noi, nel nostro giornale, Lei vedrà emergere una comunità intera, con tutti i suoi difetti ma anche con tutta la sua virtù e tutta la sua umanità. E con tutte le polemiche del caso. Il nostro è forse il giornale più interattivo del mondo. Riempiamo fino al 40% il giornale con materiale che ci arriva dai nostri lettori, che ci presentano le questioni vere, quelle che toccano la maggioranza della gente. Cerchiamo di dare voce alla gente affinché si illuminino i problemi sociali. È il nostro contributo.

Negli ultimi anni, oltre alla crisi economica del settore, si è assistito ad una vera e propria degenerazione del linguaggio giornalistico con l’affermarsi di un lessico triviale, di oscenità gratuite e di approssimazioni culturali. Quali prospettive vede?
Come Le dicevo, rimango spesso di pietra quando leggo un giornale italiano. Rischio ancora di fare la cassandra, ma i talk televisivi sono inguardabili e danno l’impressione di una classe politica che utilizza i problemi per emergere, per venire eletta di nuovo, per averne vantaggi, ma i problemi non ha alcuna intenzione di risolverli. In generale l’informazione televisiva è così deludente che si ha l’impressione che sia sabotata per far posto alle pay tv. I giornali sono quello che sono, ne abbiamo parlato. Rimane forse la speranza della informazione in rete… È quella preferita dai giovani non solo per i nuovi linguaggi, ma anche perché è interattiva. Vedremo!