Costui è il vincitore del premio letterario dedicato a Neri Pozza. Non che io creda molto a questi premi, che in genere sono dati agli amici degli editori. Però Neri Pozza è stato un nome importante nella cultura italiana. Lo conobbi personalmente, a Vicenza. Era uno con le palle, che pubblicava quello che gli altri non volevano o non potevano pubblicare. Uno che faceva ricerca vera; uno che veniva dalla Resistenza, un combattente. Chiesi ad Elisa se, oltre all’intervista (che qui pubblichiamo a p. 27), fosse possibile avere anche una copia del volume.
Avevo l’impressione che si trattasse di un’opera importante, e non tanto per il premio. Me la lessi in pochi giorni seduto sui sedili in similpelle del tram nr. 5 che mi porta in ufficio. E devo dire che l’impressione era giusta. Si tratta di un libro effettivamente importante. Se sia anche un bel libro, non saprei dirlo. Ma importante, quello sì, perché mi pare il libro-specchio di una generazione. Il protagonista è un io narrante che esce dalla sua identità, rifiuta il suo nome (o almeno accetta quello che gli danno altri); rifiuta suo padre e vive con una identità presa a prestito, in una famiglia non sua, più importante, più fica della sua. Va a letto con una ragazza non sua, appartenente alla famiglia fica. È insomma un raccomandato per un mondo che non gli appartiene. È un ospite che non sa perché sta lì. E in realtà non lo sa nessun’altro.
Lui sta lì senza fare nulla, e basta. È nato, e in qualche posto deve stare; conosce qualcuno della famiglia fica e ne approfitta per stare lì. A Montemarano manca talvolta -mi sembra- la consapevolezza di quello che scrive. Peccato, perché altrimenti avrebbe potuto riproporre la storia di un Selig della nostra Italietta contemporanea: un banano nella Repubblica delle Banane. Non di meno, la curvatura ridicola del dramma di una esistenza non esistente è godevolissima.
Il protagonista afferma di appartenere alla generazione nata all’inizio degli anni Sessanta, ma anche in questo caso si tratta chiaramente di un travesti. Di quella generazione non sa nulla. Pensa e si muove come un trentenne. Appartiene piuttosto alla generazione del nonpensiero, della non-azione, della non-lingua. È uno che non ha ideologie e neppure idee. Non ha sentimenti e tira avanti nell’impressione di essere capitato per caso in una fessura della storia dove niente si muove. Il suo linguaggio ha una piattezza tipicamente televisiva e, in effetti, le storie che nel volume vengono raccontate, potrebbero essere benissimo state ascoltate in un talk o in una ripresa de Il grande fratello.
Anche il sesso, frettoloso e freddo, che il protagonista ha di tanto in tanto con la ragazza della famiglia fica, potrebbe essere una masturbazione davanti ad una chat: cybersex puro; anzi, in realtà lo è, soltanto anch’esso un poco travestito. Peraltro, i comprimari del libro sono come lui. Personaggi che cercano di essere quello che non sono. Fabrizio, il fratello maggiore della famiglia fica, finge di essere musicista e clochard. Il minore, Mario, finge di essere tedesco e pazzo. Neanche loro, insomma, sanno veramente chi sono.
In questo gioco dell’apparenza, il romanzo va avanti una pagina dopo l’altra e dà al lettore l’impressione orribile di avere a che fare con dei morti; di tenere in mano un pesce freddo che ha appena dato il suo ultimo guizzo. Poi il lettore raggiunge finalmente la sua fermata, lascia ad altri passeggeri il posto sul sedile in similpelle, ripone il romanzo nello zainetto, scende dal tram e ringrazia di appartenere ad un’altra generazione. Parlavo della non-lingua del romanzo.
Non a caso il protagonista, che non parla se non quando non ha niente da dire, finisce per avere successo commerciale vendendo l’inglese globale, cioè la non-lingua per eccellenza: corsi di inglese a ungheresi, e asiatici. L’autore -ripeto, forse inconsapevolmente- prepara così nel finale un paradosso magistrale, degno dei migliori suda mericani. Peccato soltanto che in questo linguaggio tanto magistralmente banale, Montemarano voglia inserire di tanto in tanto un qualche cioccolatino letterario, forse ad uso dei critici.
Personalmente avrei preferito una maggiore conseguenzialità, ma, insomma, non siamo mica tutti uguali. Nel complesso un romanzo importante e amaro, quello di Montemarano; amaro forse al di là delle sue stesse intenzioni.