Erano pochi già nel 2008, quando ammontavano a 60 milioni di euro, e adesso sono scesi addirittura a 29. Sono i soldi destinati dal governo italiano al capitolo italiani nel mondo. Una cifra di gran lunga inferiore a quella stanziata dagli altri paesi europei, che non raggiungono di certo i nostri 4 milioni di cittadini nel mondo e i 60 di loro discendenti, i cosiddetti “oriundi”. Ma facciamo un po’ di conti: cosa dovrebbero fare questi nostri italiani all’estero con soli 29 milioni di euro? Cultura e welfare, scuola e sanità, quindi anziani e giovani sono le categorie più colpite dalla recente legge di stabilità, che prevede un taglio del 25% delle risorse destinate a questi due settori.
In questi mesi, gli italiani all’estero chiedevano al proprio governo di aiutarli a sbloccare i corsi di lingua e cultura italiana, i corsi di sostegno dedicati ai propri ragazzi e i numerosi progetti promossi e mai partiti o addirittura bocciati. Hanno chiesto al proprio governo di aiutare gli enti che si occupano di promuovere l’Italia all’estero e di mantenere in vita o ripristinare le strutture consolari chiuse, i loro principali punti di riferimento. Il governo italiano, con questa manovra, ha dato una precisa risposta a queste richieste. Eppure, lingua e cultura sono gli strumenti attraverso i quali le persone, i paesi, costruiscono la propria identità e la propria storia. Sono i due strumenti attraverso i quali gli italiani emigrati, e i loro figli, mantengono vivi i propri legami con il paese di origine, in un proficuo scambio di ricchezze.
Ed è strano che siamo proprio non italiani a non voler puntare sulla cultura, il nostro unico punto di forza che l’intero mondo ci invidia. Recentemente il nostro architetto Renzo Piano, un grande viaggiatore, ha detto: “Noi italiani siamo come dei nani sulle spalle di un gigante. E il gigante è la cultura, la nostra cultura antica”. Ebbene, questo gigante sta per crollare e gli italiani rimarranno solo dei nani. I soldi rimasti all’estero per questo settore sono solo 14 milioni, contro i 30 del 2008. Sono talmente pochi che il segretario generale del Cgie, Elio Carozza, ha detto che “sarebbe meglio non spenderli”. Non basterebbero per organizzare dei corsi di lingua e cultura in maniera efficiente. Certo, si potrebbero garantire poche ore sparse nel tempo, ma le cose devono essere fatte bene perché funzionino. E farle bene significa investire.
È vero, la crisi esiste, caro governo italiano, ma gli europei i soldi continuano comunque ad investirli, perché sennò dalla crisi si esce più acciaccati di prima. “Quest’anno – denuncia Carozza – i francesi hanno investito sulla cultura 400 milioni, i tedeschi 140 e gli olandesi 180”. E che dire della spesa sanitaria. La manovra lascia senza aiuti quelle migliaia di ultrasettantenni indigenti che vivono in paesi in cui l’assistenza non è prevista gratuitamente. "Si tratta di 14.000 anziani – spiega ancora il Segretario – che vivono prevalentemente in America Latina, e ai quali abbiamo pagato per qualche anno l’assicurazione per un’assistenza sanitaria minima. Si tratta di persone che hanno contribuito all’economia del loro Paese, con le tasse alcuni, con le rimesse altri, e che hanno avuto la doppia sfortuna di nascere poveri e di emigrare in paesi poveri".
È la politica antispreco del governo, che vede in tutto ciò che è necessario il superfluo e in tutto ciò che è superfluo un privilegio irrinunciabile. Tagliamo ad università e cultura ma siamo in grado di reperire ben 15 miliardi di euro per il solo acquisto di 131 cacciabombardieri F-35, ben al di sopra di quelli che ci servono. Eppure, le risorse destinate agli italiani nel mondo non servono solo a questi ultimi, ma a tutta l’Italia. Gli emigrati rappresentano una risorsa da sfruttare, un’opportunità da sostenere e non un qualcosa da tagliare. Così come lo sviluppo delle fondamenta di un Paese è impensabile senza investimenti nell’istruzione, e diventa addirittura specchio di un pensiero pericoloso e autodistruttivo quando il taglio al settore viene orgogliosamente pubblicizzato.
Oggi, poi, l’Italia continua ad essere un Paese di migranti che fuggono da una condizione senza prospettive. Questi migranti sono giovani di talento, con un grande cervello e che abbandonano a fatica un Paese per poi non ritornarvi. Con questa politica, l’Italia abbandona quindi anche un popolo di cittadini che porta alto il nome del proprio Paese. Il rischio è quello di spezzarne definitivamente il legame, lasciando che terzi si approprino dei brillanti risultati. Insomma, nei tagli il governo italiano va dritto come un treno senza ascoltare nessuno, tantomeno gli enti dei suoi stessi ministeri. Pensiamo al Cgie. Il Consiglio generale degli italiani all’estero è un organo di consulenza del governo e del parlamento italiano, presieduto dal ministro degli affari esteri, Franco Frattini.
La dice lunga il fatto che per parlare con il suo governo, il Cgie sia dovuto recentemente scendere in piazza, come se si trattasse di un organo di opposizione ed esterno alla politica. È ormai l’unico modo rimasto per comunicare visto che, come denuncia il suo stesso segretario, “il ministro Frattini non si è mai presentato alle riunioni”. Anche questa protesta, però, possiamo immaginare già come andrà a finire, come quelle mille altre, tutte legittime, che di questi tempi stanno raccontando l’Italia.