Gli eventi tragici del 7 gennaio a Parigi con il barbaro assassinio dei redattori di “Charlie- Hebdo” e degli agenti della loro scorta e l’assalto al supermercato ebraico kasher on altri episodi di violenza perpetrati altrove non possono non generare una radicale condanna ed un sussulto di ribellione morale per la libertà e la dignità umana, per la pacifica convivenza sociale. La spontanea generale manifestazione già al primo annuncio della tragedia e la oceanica partecipazione di domenica 11 gennaio alla protesta generale sono un chiaro segno di una istintiva opposizione morale alla violenza.
Sono emersi sentimenti contrastanti e pareri diversi. Paura e sicurezza, legalità e libertà, giustizia e vendetta si sono manifestati ampiamente. Non è dubbio però, a mio parere, che l’indicazione od ammonimento più validi sia stato: trionfi l’intelligenza. Bisogna dominare la situazione per superare una deriva assassina, quanto mai pericolosa per gli individui e per la società.
E’ fuori dubbio che i valori di libertà di pensiero e di opinione, di democrazia nel diritto e nel rispetto siano indiscutibili e costituiscano la base di una giusta convivenza civile e del progresso. Ma proprio per l’accennata priorità dell’intelligenza, dote tipica dell’uomo e anima della giustizia, mi siano permesse alcune critiche osservazioni La prima, che mi pare sia stata giustamente ed ampiamente manifestata, è quella che non è giusto rifiutare l’islam in blocco, bensì le sue deviazioni intellettuali, religiose e morali, per altro non necessariamente conseguenti da quel credo. Non sono un islamista, ma chi lo è fa queste distinzioni. Altre osservazioni riguardano piuttosto direttamente noi e le ritengo opportune dopo aver udito alcune scomposte affermazioni di persone altrimenti altamente qualificate. Occorre ripensare o rivedere la nostra pratica della libertà di pensiero e più ancora di espressione. Non per negarle, ma per inserirle nel contesto civile e religioso in cui ci troviamo in seguito anche alla mobilità umana, alla trasversalità della comunicazione, alla globalizzazione.
E’ fuori discussione, ad esempio, che un ateo deve essere libero di esprimere e, se vuole, di divulgare questa sua convinzione, ciò che vale anche per il credente. Ma né all’uno né all’altro è permesso offender o ridicolizzare l’opinione avversa. La si può contrastare, rifiutare, ma non infangarla. Ciò che significa che la libertà personale non è senza sponde, sena confini perché bisogna distinguere tra libertà e licenza. E quando è stato detto che l’unica regola della satira è quella di non avere regole si è andati oltre la sfera della ragionevolezza, anzi contro la libertà. Perché posso non condividere o rifiutare una credenza,ma non mi è lecito insultare chi ce l’ha od i suoi valori o simboli. Il proverbio popolare mantiene una sua saggezza per la convivenza umana: scherza con i fanti e lascia stare i santi.
E l’enfasi messa sulla ragione come valore fondamentale e fondante ha un forte sapore ideologico più che una constatazione umana, conoscendo limiti e deviazioni della ragione umana anche nella nostra storia recente. Senza tacere dei limiti nativi ed insuperabili per un valore che voglia esser assoluto, come la contingenza e la morte. Ovviamente se un insegnamento religioso incitasse alla violenza, tanto peggio se indiscriminata e gratuita, se pretendesse ascolto o spazi con la forza, se non accettasse il confronto con la società, allora esso si collocherebbe in quella rifiutata situazione di superiorità indiscussa ed oppressiva, vanificando la lettera e lo spirito della libertà.
La satira quindi e qualsiasi altra espressione di pubblica informazione deve autoregolasi, esprimendo pareri o criticando atteggiamenti senza offendere convinzioni religiose o persone e simboli loro sacri. Nella situazione concreta viene anche il dubbio se le discutibili forme di satira a Maometto siano la vera motivazione di sì forte e feroce ribellione. C’è evidente sproporzione. Occorre forse ricercare oltre ed altrove le motivazioni, probabilmente in una identità culturale che si ritiene oppressa ed emarginata e che, facendosi forte di una ricchezza economica, vuole emergere. In questo caso la reazione avvenuta sarebbe comunque ingiustificata perchè male impostata ed il metodo ingiusto perché inadeguato . Da oppressi si diventa oppressori.
In questo eventuale contesto la valutazione dei fatti comunque cambierebbe. E si dovrebbe indagare se non si tratti di un effetto non voluto e non previsto della globalizzazione economica e sociale , della inevitabile mobilità umana, della forzata profuganza per guerre che hanno portato drammaticamente allo scoperto un incontroscontro di culture storiche, di civiltà cresciute separatamente quando non in conflitto. E sarebbe il momento di riflettere più seriamente sulla comune origine e sul comune destino dell’umanità per un nuovo equilibrio da raggiungere, certo faticosamente, tra popoli , nazioni e culture.
E’ il famoso dialogo più volte invocato e poco praticato. E mia sia permessa una ultima e in parte marginale osservazione. Appare evidente oggi l’errore del laicismo dogmatico di ieri quando venne rifiutato di mettete alle radici della cultura e civiltà europea il pensiero e l’azione giudaico-cistiana come ripetutamente richiesto da San Giovanni Paolo II.