Venditrici ambulanti, musicanti, tessitrici, braccianti, operaie, casalinghe, e naturalmente anche mogli e madri; in tempi più recenti architette, docenti, ricercatrici universitarie, attrici, libere professioniste, qualcuna perfino manager. Un tempo partivano per seguire il marito, ma sempre più spesso lo fanno per propria autonoma iniziativa, per amore o per cercare fortuna. È dall’inizio dell’Ottocento che si hanno tracce di emigranti donne partite dall’Italia verso la Germania: un fenomeno che è continuato in forme sempre diverse fino ad oggi. Dell’emigrazione italiana nel mondo si sa molto ormai, ma poco si è scritto sulla partecipazione delle donne. Meno ancora si è detto dei cambiamenti sostanziali di vita e di cultura che le donne espatriate hanno dovuto affrontare nelle nuove realtà. In particolare una storia dell’emigrazione femminile in Germania finora non era stata scritta, pur essendo stato questo tema nel recente passato oggetto di discussioni, contributi e congressi. A sopperire la lacuna ci pensa ora il volume scritto da Lisa Mazzi e intitolato Donne mobili l’emigrazione femminile dall’Italia alla Germania (1890-2010), uscito presso l’editore Cosmo Iannone di Isernia, nella serie dei “Quaderni delle migrazioni” diretti da Norberto Lombardi (www.cosmoiannone.it). Ci racconta in modo avvincente e suggestivo le turbolente vicissitudini delle donne italiane emigrate in Germania nel corso dei decenni alternando parti storiche accuratamente documentate con il racconto di singoli casi esemplari. Lisa Mazzi è lei stessa una “donna mobile”: originaria di Modena, si è trasferita in Germania attorno alla metà degli anni Settanta dopo essersi laureata in Lingue e letterature straniere moderne a Bologna e dopo un’esperienza di insegnamento liceale in Italia. Per molti anni è stata docente al Dipartimento di Linguistica Applicata dell’università del Saarland. Oltre ad occuparsi del tema “donne nell’emigrazione”, Lisa Mazzi si è affermata anche come autrice in lingua tedesca di racconti e poesie e partecipa al gruppo di autori italiani in Germania conosciuto col nome di “Letteratura decentrata”. Il “Corriere d’Italia” le ha rivolto qualche domanda sul suo ultimo libro.
Come è nato il progetto di dedicarsi alle vicende della dimensione femminile dell’emigrazione italiana in Germania?
È una tematica che mi interessa e appassiona da molto tempo. Ne ho trattato spesso nei miei corsi all’università e nelle mie pubblicazioni da vari punti di vista: socioculturale, letterario e della vita quotidiana. Con il libro Donne mobili ho pensato che fosse giunto lanciare un segnale: ad emigrare non sono stati solo gli uomini, ma anche tante donne. Ci sono state donne fin dall’inizio e ce ne sono ancora oggi più consapevoli che mai.
Esiste uno “specifico femminile” dell’emigrazione? Intendo dire se si può registrare qualche costante che accompagna la presenza e il contributo delle donne nel contesto migratorio in Germania dagli inizi fino ad oggi?
Credo che lo “specifico femminile” delle donne migranti possa essere definito con due parole chiave. La prima è il “viaggio”, inteso come profonda ricerca del proprio io, un desiderio di apprendere attraverso l’ambiente estraneo qualcosa di più di se stesse. La seconda è la “fuga”, cioè l’impossibilità di fare diversamente, vuoi per sfuggire alla miseria, vuoi per poter vivere una dimensione della propria vita che altrimenti non poteva essere vissuta. E il risultato costante di entrambe è l’emancipazione, uno sviluppo delle proprie potenzialità.
Le prime tracce di emigranti donne in Germania risalgono all’800. Chi erano e cosa facevano?
Le prime tracce risalgono in effetti a metà ’800, quando intere famiglie si trasferivano soprattutto al Nord della Germania con il loro “circo famigliare”, con cani, scimmie (da qui il termine “Affentheater”) e anche orsi. Molti documenti e fotografie ne fanno prova. In quell’epoca il settore femminile per eccellenza era quello tessile nel Sud della Germania. E per quanto riguarda l’emigrazione stagionale non vanno dimenticate le fornaciaie friulane reclutate dai mediatori e sfruttate all’inverosimile.
Com’è cambiata nel corso degli anni la posizione della donna nel contesto migratorio italiano in Germania?
I cambiamenti sono stati enormi, ma possiamo anche dire che c’è una costante: la donna nell’emigrazione ha sempre avuto un ruolo attivo, cioè ha sempre lavorato, o nelle fabbriche (sopratutto tessile o materiali da costruzione) oppure in casa, come nelle zone minerarie della Ruhr, dove faceva “pensione” per i minatori venuti in Germania senza moglie. Quello che è radicalmente cambiato è lo stato sociale: oggi le donne emigrate dispongono di una cultura medio-superiore, hanno una maggior consapevolezza di sé e si considerano appartenenti all’Europa oltre che ad un singolo stato.
Come ha impostato metodologicamente la ricerca? È stato difficile reperire materiali e dati?
Ho impostato la ricerca partendo dal contesto storico, dalle condizioni politico-economiche. Quanto al reperimento dei dati, all’inizio è stato difficile. Ma il Centro di documentazione migratoria di Bedonia nell’Appennino parmense, la chiesa della Sacra famiglia a Berlino, l’archivio storico di Magdeburgo e quello della Caritas di Friburgo hanno fornito materiali preziosi per l’800 e per l’emigrazione controllata durante il periodo dell’Asse Roma-Berlino.
Ci può dire in breve quali sono i principali risultati cui è giunta con le sue ricerche?
Sicuramente ho potuto dimostrare che è esistita anche un’emigrazione femminile “indipendente” (non al seguito del marito o per ricongiungimento famigliare) e che la Germania in tutte le epoche storiche ha richiesto manodopera femminile, anche se spesso l’Italia per motivi d’ordine sociale ha posto veti all’esodo delle donne. Un altro risultato da sottolineare è il mutato atteggiamento delle autorità tedesche nei confronti dell’emigrazione. Da qualche anno si registrano un’attenzione e un riconoscimento che in passato erano inconcepibili.
Perché le donne emigrano? Ci sono motivazioni differenti rispetto a quelle che spingono gli uomini a lasciare la patria per trasferirsi all’estero?
Le motivazioni dell’emigrazione femminile sono sostanzialmente quelle riconducibili ai due aspetti che citavo prima, il “viaggio” e la “fuga”. Ovviamente ci sono motivazioni valide per entrambi i sessi, come il lavoro o l’amore. Vorrei citare su questo punto quello che ha scritto recentemente una giovane donna in una lettera al quotidiano La Repubblica: «Sono una ragazza madre e la mia terra non mi dava speranze; in Germania non sono trattata come una donna, ma come una persona».