“L’Orlando furioso” di Ludovico Ariosto (1474-1533), poema cavalleresco in ottave, è uno dei capolavori della letteratura italiana. L’opera è un elogio alla casata ferrarese degli Estensi, presso la quale operò l’Ariosto. Si legge di amori, di cavalieri, di guerra tra l’esercito di Carlo Magno e i Mori. Il tema cavalleresco, nel periodo di Ariosto, è più un tema letterario che una realtà storica. L’eroismo antico è morto. Ai tempi dell’Ariosto, ci sono già le armi da fuoco ed un vigliacco qualsiasi con un fucile può ammazzare un eroe.
Ritorniamo al presente. A Francoforte, insieme a Diego Valverde Villena, direttore dell’Istituto Cervantes, eravamo ad attendere José María Micó. “Non mi aspettavo di parlare italiano appena arrivato a Francoforte” ci confessa tra il meravigliato e il sorpreso. Ci racconta che il suo interesse per la letteratura italiana rinascimentale non è cominciato per caso ma “grazie allo studio della filologia e letteratura spagnola, mi sono occupato di autori spagnoli, in particolare Luis Gongora, un poeta del ‘600, tipo Gian Battista Marino, uno dei tre o quattro grandi poeti spagnoli del ‘500 e ‘600.
Tramite Gongora sono venuto a conoscenza dell’estetica dell’Ariosto, delle Satire che erano già conosciute in Spagna nel ‘500, ma non ancora tradotte. Ed io le ho tradotte per primo. Era il ‘99 e poi ‘guarda’ mi son detto, ‘ho tradotto le Satire, ma perché non anche l’Orlando furioso? Continuavo a chiedermi sebbene di quest’opera esistessero già diverse traduzioni
Perché allora hai deciso di tradurlo?
Perché le traduzioni disponibili non erano all’altezza dei tempi… avevano perso ogni valore letterario per un lettore del nostro tempo. Allora ho deciso di rendere in spagnolo, uno spagnolo letterario moderno, questa lingua così bella dell’Orlando , adattando una lingua del ‘500 al lettore contemporaneo. Ho curato il verso anche se non proprio con la rima, ma ho preservato l’ottava con una rima di chiusura e così ho provato a ridare al testo poetico dell’Ariosto una vivacità che aveva perso nelle traduzioni del ‘500 che per uno spagnolo erano forse più difficili che leggere i testi in lingua italiana.
L’Orlando furioso è un poema epico…
Un poema un po’ particolare perché ha anche del romanzo. Nel senso che è un romanzo non in prosa, ma in versi. Ha una storia che deriva dall’epica, dalla Chanson de Roland. Ma questa Chanson de Geste è stata molto trasformata nel tempo. Già Boiardo e Pulci avevano fatto dei cambiamenti in questa linea epica e così l’Orlando furioso non è un’opera di carattere nazionale, né di carattere epico, bensì soltanto un’opera di fantasia, una novella che parla di fatti d’arme, ma anche di fatti d’amore.
E in verità sembrano quasi più importanti gli amori per i quali si rischia di perdere addirittura la guerra
Sì, infatti. Questo è il nodo principale dell’Orlando furioso. Orlando diventa pazzo perché scopre che la sua amata Angelica l’ha tradito con Medoro che è addirittura un soldato qualsiasi, non un paladino. E diventa furioso. Carlo Magno perde così Orlando, l’eroe valoroso. La pazzia è la conseguenza naturale della gelosia.
Il poema epico ha il suo punto forte tra l’XI e il XIII sec., per ben 200 anni. Le Gesta, la Chanson de Roland, il ciclo bretone, il ciclo carolingio. Ma come mai autori del ‘500 continuano questo ciclo cavalleresco? Non avevano più fantasia?
No. Perché diventa anche un argomento popolare e poi nessuno ricorda più le gesta di Rolando. Sono diventati quasi dei testi popolari per esempio in franco-veneto nel ‘400. Poi l’argomento cavalleresco diventa una moda nel ‘500 e proprio Ferrara, alla corte degli Estensi, è la capitale del romanzo in quel momento. Esistono dei poemi cavallereschi già prima dell’Orlando come il Morgante del Pulci che è un poema comico, burlesco e questa comicità ci aiuta a capire anche l’ironia dell’Ariosto che è simile a quella del Boiardo. Dunque è già una moda rifarsi alle Gesta quando Ariosto scrive il suo capolavoro. E come dice Italo Calvino, L’Orlando furioso si rifiuta di cominciare e si rifiuta di finire perché fa parte di un macrotesto che è il ciclo dei poemi cavallereschi e dunque nel suo inizio continua la trama dell’ Orlando innamorato senza nemmeno fare cenno a tale opera. Continua la trama e basta e neanche il finale è un vero finale. Potrebbe continuare … ‘forse altro canterà con miglior plettro’, verso dell’ Orlando furioso, quasi una sfida, che poi riprenderà Cervantes alla fine della 1° parte del Don Chisciotte. Cervantes non scrive un poema ma un romanzo in prosa sul mondo cavalleresco.
Dal Medioevo al Rinascimento la società cortese si evolve. Come si nota questo evolversi nella letteratura?
Anche la letteratura diventa letteratura cortese. Infatti l’Orlando è un testo per la corte. Inizialmente per la corte di Ferrara e non solo per la gente che legge ma anche per la gente che ascolta. Quindi una cosa piacevole. Non si parla solo di guerra ma anche di amore.
Allora i testi del Medioevo non erano piacevoli?
Erano soprattutto guerra. Ne la Chanson de Roland non si parla d’amore. Si conosce più o meno il nome della donna amata. È un fatto concreto di guerra anche se non propriamente storico. La guerra muove tutte le gesta.
Lo stile letterario di Ariosto
Ariosto, a differenza di Cervantes non capisce il romanzo senza il verso, è ossessionato dal verso. Cervantes scrive un romanzo in prosa, una prosa molto semplice. Ariosto cura il verso anche dal punto di vista musicale, dal punto di vista simblico, semantico. Sono delle vere opere di poesia. Non si può tradurre l’Orlando in prosa.
È stato impegnativo tradurre le ottave del Furioso ?
Soprattutto perché erano cinquemila ottave e quarantamila versi… (ride divertito!)
Perché l’ottava, forma poetica medievale, continua a venir usata nel ‘500?
Questa forma metrica viene usata particolarmente in Italia. Elementi colti della letteratura raffinata si fondono con elementi popolari come la disturna in ottava rima. Ancora oggi in Toscana la disturna è una sfida, una gara poetica tra due cantori. Vengono recitate delle poesie inventate al momento. Uno attacca, incomincia la poesia che può essere anche cantata e si ferma all’ottava rima e l’altro la continua.
Ariosto si ispira ai poemi cavallereschi, riprende le ottave che già usavano nel Medioevo. Ma ha anche apportato delle novità?
Sì, delle grandi novità secondo me, anche se continua la trama del Boiardo. Già all’inizio si nota un’aria ironica che è molto moderna. È un poema che ha delle caratteristiche proprie dell’Epica, della Chanson de Geste, ma non c’è più quell’eroismo antico. L’eroismo viene visto con una specie di diffidenza o di ironia come pure la verginità della donna, aspetto molto importante nei romanzi cavallereschi precedenti. L’Angelica ariostesca è una donna che fugge da tutti i corteggiatori, è molto moderna. Fugge e non vuole sentir parlare dei paladini. Registriamo un bilanciarsi tra ironia e rispetto delle tradizioni epiche serie. Non siamo di fronte a un umorismo propriamente detto, ma siamo di fronte ad un’ironia vivace e accattivante. Questa è una novità, un segno d’autore.
Diego Valverde Villena, anche poeta, suggerisce di chiedere a José María Micó l’influsso che la letteratura italiana ha avuto su di lui
Traducendo si impara, anche se è un tipo di poesia che oggi non si scrive più. Oggi nessuno scrive più romanzi in versi. Non sarebbe né commerciale né logico. La letteratura in versi oggi è soltanto lirica, abbiamo perso la narrativa epica. Ma la cura con cui si costruiva e si scrivevano le ottave con le simmetrie, rime, giochi fonetici…, lascia per forza una traccia, anche se poi si usa un’altra lingua completamente diversa da quella dell’Ariosto
Discorrendo veniamo a sapere che Micó possiede da tempo una casa a Firenze
Non per caso! Perché ovviamente bisognava lavare i panni in Arno. No? Anche l’Ariosto l’ha fatto e poi Manzoni e tutti gli altri. Erano quelli gli anni in cui si discuteva sulla questione della lingua. Il Furioso, inizialmente scritto in lingua emililana, è stata la prima opera di un autore non toscano nella quale viene usato il toscano come lingua letteraria nazionale.
Nella foto da sinistra: Il Professore José María Micó, la nostra collaboratrice Anna Maria Micheli Kiel e il direttore dell’Istituto Cervantes di Francoforte Diego Valverde Villena