«Le parole sono importanti. Chi parla male pensa male!» urlava un indignato Nanni Moretti in un suo vecchio film (Palombella rossa) al cospetto di una giornalista che poneva domande assurde, condite con frasi fatte e paroline anglofone alla moda. Ecco, se c’è un effetto negativo prodotto dalla recente stagione politica italiana, un effetto forse non eclatante come altri, ma su cui vale la pena riflettere, è lo stravolgimento semantico di alcuni termini della comunicazione socio-politica. Parole che a forza di essere usate in modo distorto o con un significato improprio hanno provocato un “avvelenamento” linguistico da cui sarà difficile uscire. Una di queste parole è antipolitica, brandita come un’arma impropria per delegittimare gli avversari.
Lo si è fatto di recente soprattutto nei confronti del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, protagonista delle elezioni amministrative di maggio. Qui lo stravolgimento consiste nel presentare quello che è un atteggiamento di critica più che legittima nei confronti delle attuali formazioni politiche e delle attuali istituzioni pubbliche come cieca e irrazionale “antipolitica”, come rifiuto di partecipare alla vita pubblica, come qualunquismo e indifferenza. Ma un conto è .la protesta anti-partiti, contro “questi” partiti, e un altro è la rivolta anti-sistema. I grillini fino a prova contraria si presentano alle elezioni, si candidano a guidare città, partecipano con metodo democratico all’agone pubblico.
Le battutacce estreme del loro leader, Beppe Grillo, possono non piacere, ma si tratta di sparate grossolane non peggiori delle tante uscite di bocca dai leader della seconda Repubblica. Tra l’altro l’accusa di “antipolitica” in una fase in cui la politica ha abdicato riconoscendo la propria inadeguatezza e lasciando il posto ai tecnici, suona ancor più ridicola. A dirla tutto, se per “antipolitica” s’intende il menefreghismo civico, l’atteggiamento di chi non dà nulla alla cosa pubblica e pretende molto da essa, allora il vero campione di ciò negli ultimi due decenni è stato Silvio Berlusconi.
Non è stato forse proprio sul suo proclamato dilettantismo politico, sull’antistatalismo, sullo scarso rispetto per le procedure istituzionali, sul suo non essere assimilato al mondo dei politici, che Silvio ha costruito le proprie fortune di leader e di premier? Il Movimento 5 Stelle, con tutti i suoi limiti, pare formato da gente informata, per lo più da giovani che seguono l’attualità in Internet (non a caso Grillo ha i risultati più elevati nei centri dove la connettività è più alta), che vogliono protestare, ma anche contare qualcosa. L’accusa contro i grillini di essere l’ennesima incarnazione dell’antipolitica è tanto fragile quanto falsa. Così come non regge il rimprovero di fare del populismo o dell’anarchia demagogica. L’azione dei grillini, condivisibile o no, è totalmente politica.
Esprimono l’indignazione per i privilegi di casta e per i partiti tradizionali ridotti a comitati d’affari, interpretano lo sdegno verso i sacrifici a senso unico, la richiesta di legalità, trasparenza e ringiovanimento, nonché la sensibilità crescente nei confronti di tematiche ambientaliste e per la tutela dei beni collettivi (l’acqua). Liquidare tutto ciò come “antipolitico” non solo è concettualmente sbagliato, ma è anche del tutto inutile. Se mai sarebbe necessario confrontarsi con quelle istanze per ricostruire un contesto istituzionale nuovo nel quale tutti possano identificarsi e sentirsi parte. Ma chi è in grado di farlo?