Le forze in campo erano troppo grandi perfino per i governi e la crisi ha dato l’impressione di essere fuori controllo. I cosiddetti „mercati“, cioè il complesso dei possessori di capitali, punivano ora questo ora quello degli Stati, senza che vi si capisse, sotto, una logica qualsiasi. Con il governo in carica, l’Italia sta dando la sensazione che finalmente qualcosa si muove e che l’impotenza possa finire. Anzi: molto si è già mosso sul piano delle riforme strutturali di cui il Paese aveva ed ha fortemente bisogno. Iniziano ad essere attaccate le lobbies, che in genere sono le più rabbiose oppositrici di ogni liberalizzazione.
Dapprima i tassisti, che certo non sono i più pericolosi, poi speriamo arrivino i notai, gli architetti, gli avvocati, i giornalisti e via discorrendo, in modo che l’accesso alle professioni sia più semplice per i giovani e soprattutto meno clientelare. Per ora i partiti sono stati a guardare ed hanno trovato utile che il lavoro di pulizia lo facessero i „tecnici“ ed i „professori“. Sono stati a guardare nonostante ci fossero su di loro enormi pressioni da parte delle lobbies stesse, le quali sono potenti proprio perché sono fortemente rappresentate in politica e nei partiti stessi. Se questo clima durerà fino alla fine della legislatura, è difficile dirlo. Oggi nessuno tra i grandi partiti può permettersi di mandare in bancarotta il Paese. C’è solo una grande incognita.
Che succederà quando, liberalizzate le professioni, sarà la volta dei tagli radicali ai costi della politica? La eliminazione delle Province, ad esempio, risolverebbe di colpo i problemi di bilancio del Paese. Il problema però è che, tra tutte le lobbies, quella della politica e dei partiti è la più rabbiosa. Più rabbiosa e vendicativa di tassisti, notai, architetti, giornalisti messi insieme. Se, fino ad ora, questa lobby è stata a guardare, è stato perché, in fondo, si trattava e si tratta di infilare le dita in tasca degli altri.
Quando si tratterà invece delle loro tasche la resistenza sarà diversa. Di fronte a quell’avversario, il governo dei Professori sarà fortemente a rischio. Non possiamo immaginare, infatti, che il Parlamento voterà in favore dell’eliminazione delle Province o per l’accorpamento dei Comuni minori. Voterà piuttosto per un ulteriore prelievo sulle pensioni e, se questo non sarà più possibile, invocherà le elezioni anticipate. Monti, di questo rischio, sembra perfettamente consapevole, ed infatti sta ritardando la riforma delle riforme: quella della politica, appunto. Teme il voto contrario del Parlamento e spera che le altre riforme siano sufficienti. Qui sta il limite del suo governo.
La liberalizzazione (necessaria) si è spesa quasi esclusivamente a danno delle classi basse e medie del Paese, che però sono anche le classi produttive. Non si è vista una vera punizione dei parassiti veri del Paese e, se questo non avverrà, il lavoro fatto dai Professori perderà molta della sua credibilità, sia sul piano interno, sia sul piano dei mercati internazionali. Sarà soprattutto la fiducia della gente comune nella sua propria classe dirigente che prenderà un colpo mortale.
E questo sarebbe pericoloso per la democrazia. Senza voler dare certamente lezioni a nessuno, mi sia consentito di dire che, se fossi stato io, il Professore, avrei fatto esattamente il contrario. Avrei iniziato a tagliare prima i costi della politica, e poi sarei sceso eventualmente verso le classi produttive. Ma, tant’è: a ciascuno il suo mestiere!