A volte i destini di alcune produzioni artistiche sono strane. Nel 1960 Roger Corman aveva deciso di realizzare un film partendo dal racconto “Green Thoughts” di John Collier. Corman però ci mette anche di suo per rendere la storia più interessante: un dentista sadico, un paziente masochista e un cliente degustatore di garofani. Riprese interne durate appena 2 giorni e fatte sfruttando una location che era servita al fratello di Roger, anche lui regista. La maggior parte dei protagonisti erano semplici passanti, ingaggati sul momento per pochi spiccioli. Con appena 27.000 $ è nato un film culto. Passò qualche anno (1982) finché Alan Menken (libretto Howard Ashman) ne capì il potenziale e traspose la storia per un Musical che debuttò lo stesso anno Off-Broadway (in un teatro di Broadway arrivò solo nel 2003). Appena 4 anni dopo il debutto del Musical Frak Oz diresse un nuovo film, ispirato al musical. Anche questo film, come era già successo per quello di Corman, non si rivelò un successo commerciale (sebbene avesse costi di 25 milioni di dollari) ma replicò il suo effetto culto.

A cosa si deve questo successo?

Si tratta di una commedia un po’ macabra in cui una pianta carnivora la fa da protagonista. Con apparente innocenza, o meglio con richieste “minime” (“cosa saranno mai due gocce di sangue”) riesce a legare a sé il  povero commesso dal cuore buono e a trasformarlo in un assassino. Un film parabola per quelle sanguisughe che chiedono solo un piccolo favore e poi finiscono per prenderti la vita. Giorgio Madia (foto) ha voluto ricreare, nella sua messa in scena per la Staatsoperette di Dresda lo spirito degli anni 60 , sia nei costumi realizzati con la Designer Cordelia Matthes ma anche nei colori che sono preminenti in scena: pop fluo a tutto tondo. Tutto rifiorisce in ritmi sempre più frenetici che travolgono il pubblico e lo rendono partecipe di questa esperienza unica. Giorgio Madia, displomatosi in danza presso la scuola di balletto della Scala di Milano, fu per diversi anni ballerino solista della Bejart Ballet Lausanne (già Ballet du 20iéme siecle). In seguito, nel 1988 si trasferì negli Stati Uniti dove lavorò con il Pennsylvania Ballet, Milwaukee Ballet e San Francisco Ballet. Nurejev lo scelse per portarselo nel suo tour mondiale, durante il quale Giorgia e Rudolf ballarono insieme due duetti. Il suo ritorno in Europa avviene nel 1993 con Alterballetto per poi passare al teatro di Zurigo nel 1995.

Lo stesso anno inizia un percorso più importante nel campo coreografico e di direzione che lo porterà, nel 1997,  a decidersi di ritirarsi dal palco per lavorare da freelance. Abbiamo incontrato Giorgio per voi.

Quali aspetti hai voluto mettere in evidenza con la tua messa in scena del musical “Ein kleiner Horrorladen” a Dresda?

Si tratta di una storia tragica e scurrile. Quello che mi piaceva era di ampliarla da “spettacolo da camera” a produzione più complessa con l’introduzione di balletti. Il setting è in un’area povera e la maggior parte delle scene sono notturne: questo porta molti registi a farne un pezzo “oscuro” e, di conseguenza, triste. Io volevo oppormi a questa tendenza e fare qualcosa che fosse esattamente il contrario. Il mio intento era quello di creare un forte impatto visivo per cui ho scelto dei colori neon, gli anni 60 (per poter giocare con i vestiti e fare l’occhiolino, in un certo senso, al musical in sé). Sono contento del risultato, anche se bisogna far sempre dei compromessi (budget, esperienze dei protagonisti etc). Il mio primo getto di visione è stato molto positivo e sono contento di essere riuscito a rimanere fedele a quello che avevo visualizzato nella mia mente.

Cosa sognavi di fare da piccolo e come è nata la tua passione per la danza?

Da piccolo volevo fare l’attore o il regista, sebbene non avessi chiaro in mente cosa significasse fare il regista. Da quando avevo 8 anni ho fatto diversi spettacoli con le mie cugine, forzandole a seguire le mie indicazioni e forzando la mia famiglia a essere pubblico pagante. La passione per la danza nata ed è cresciuta ballando dato che, quando ho iniziato, non c’era dietro di farne la mia professione. Ero un bambino irrequieto di 11 anni che voleva fare qualcosa nello spettacolo e, visto che c’era una buona scuola media privata all’interno del teatro La Scala, sono riuscito a combinare una buona formazione scolastica con dell’attività fisica. Pur non partendo con delle ambizioni da ballerino quando ho incominciato ad andare in scena ho capito che mi sarebbe piaciuto farlo ancora meglio, seppure non fossi ancora certo del genere che avrei fatto. Quello che però era certo era che il teatro era il mio mondo. Dopo tre anni circa, a 14 anni, ho dovuto prendere una decisione per il mio futuro. Dato che frequentavo questa scuola “professionale” dovevo prendere la decisione se impegnarmi sul serio o farlo sottogamba. Ho optato per la prima essendo anche certo che sarebbe diventato il mio lavoro, almeno per la prima parte della mia vita. Avrà certamente contribuito il fatto di essere coinvolto, già nel periodo della scuola nei suoi 30 spettacoli per anno. Il sogno di fare il regista non l’ho però mai accantonato e sono riuscito a realizzarlo, visto che è quello che faccio attualmente nel campo della coreografia, dell’opera, del musical o dell’operetta.

Sei ballerino, coreografo, regista: come si fondono questi ruoli. Vantaggi e/o svantaggi?

Vantaggi, senza dubbio. È importante essere stato in scena quando si dirigono le persone in scena. Per quel che riguarda la mia esperienza personale, visto che sono stato in scena a La Scala da quando avevo 11 anni, sono in un certo senso cresciuto sul palcoscenico con l’istinto di sapere come muovermi. In scena non ci sono regole fisse, anche se ce ne sono e, in più, averne una percezione molto reale, fisica e concreta è essenziale. Marlene Dietrich, prima di andare in scena, voleva mettere mano” fisicamente” da attrezzista per sapere e conoscere ogni angolo del palco ed aumentare la sicurezza e la padronanza dell’area in cui ci si muove.

Cresciuto e formatoti a Milano, sei stato in giro per il mondo e ora sei “stabile” (?) in Austria. Come è nato questo percorso? C’è un pubblico che ti ha sorpreso maggiormente?

Difficile da riassumere. Ci provo. Ho sempre cercato le cose che mi interessano, quindi non mi sono mai seduto in una compagnia o città aspettando che la fortuna o che il destino passasse davanti alla mia porta di casa, ma ho pensato che fosse meglio andare a cercarlo. E questo da quando avevo 18 anni e non mi sono mai fermato. A Vienna sono arrivato some direttore del ballo della Volksoper e, da freelance, ho deciso di rimanervi. Per quanto riguarda la domanda sul pubblico vorrei ricordare la mia prima coreografia fatta a Zurigo. Si trattava di un teatro relativamente piccolo e la mia coreografia era una delle 9 della serata. Ad essere sincero, non avevo investito molto tempo nella coreografia, visto che l’idea mi era venuta quasi all’ultimo minuto. Così ho creato un pezzo alquanto “pazzo”, molto variopinto. Un aspetto importante della coreografia è la musica, che deve essere bella. Interessante solo non basta. Quando la musica è bella avvicina il pubblico e ispira molto di più. Per questo pezzo non avevo un vero e proprio filo conduttore: si trattava di un insieme di diverse visioni oniriche molto strane: i costumi erano neri e viola, i capelli neri e trucchi strani. In scena presentavo un cantante appeso, un interprete seminudo che faceva delle variazioni, una donna che trovava una parrucca con mille palloncini, una coppia di ragazze che facevano le show girl. Uno spettacolo alla Tim Burton, un pezzo d’atmosfera. Devo ammettere che trovavo quasi tutti i pezzi presentati prima del mio semplicemente stupendi, di grande valore e iniziavo a vergognarmi un po’ per quello che andavo a mettere in scena. Invece, quando ho interpretato il mio pezzo il pubblico è andato in stasi pestando i piedi, applaudendo e terminando con una standing ovation. Una bella sorpresa e un bel trampolini di lancio: mi chiesero di riproporla l’anno successivo e anche di creare altre coreografie per l’opera. In altri termini: il pubblico svizzero mi ha sorpreso. Positivamente!

Hai lavorato con molte compagnie e molti teatri. Cosa c’è ancora nella tua “Lista dei Desideri”?

C’è di poter dirigere un teatro un giorno, di essere colui che decide nella programmazione, di essere a capo di un team creativo e di contribuire alla realizzazione di uno di alcuni spettacoli in programmazione. Non ho preferenze per un paese o un’area geografica, anche se preferire non spostarmi dall’Europa. Ma mai dire mai: dipende dalle possibilità che mi verrebbero offerte.