Egregio Direttore, Perché le scrivo? Perché ho letto nel numero di settembre del Corriere d’Italia una lunga lettera di due lettori di Wiesbaden. Volevo informarla che non ci sono solo “questi” ma anche “quelli” nella platea (occasionale nel mio caso) dei lettori del mensile. Prima di scriverle che il Corriere mi piace per l’ampio spazio dato all’informazione e per l’equilibrio degli articoli, desidero anche mettere in rilievo la mia neutralità: non sono simpatizzante di nessun partito, non sono legato a nessuna greppia, non intendo fare missionariato.
Penso di essere corretto. Ho fatto la mia carriera con l’aiuto del materiale alluvionale di esperienze e conoscenze di cui disponevo (tanto, poco), non con fonti alternative. Ho sempre rispettato gli avversari, anche quando andavo a rompermi le ossa per conto della Società Ginnastica Torino nelle gare di judo. Fine dell’incipit. La lettera dei citati lettori mi ha portato alla mente il filosofo Parmenide, di cui riporto solo un pensiero: “Quando i fatti contrastano con le mie teorie è la realtà ad avere torto”. Siamo quindi in Italia ad un intreccio tra la realtà che abbiamo davanti (Saviano docet), assai simile a quella della tarda repubblica romana e la tenace resistenza di molti cervelli a prenderne atto.
Sappiamo che nel 70 a.C. venne celebrato a Roma il processo al senatore Verre. Cicerone sostenne l’accusa. Verre aveva rubato negli appalti ed aveva imposto i suoi parenti. Il suo intuito politico, però, gli dava la percezione che quel processo avrebbe consacrato la corruzione di un sistema in agonia. Aveva ragione lui: i colleghi lo difesero tirando in lungo e ricordando che era abitudine generale. Il processo venne rinviato a causa di una festività e Verre se andò, senza condanna, in volontario esilio con la massima parte dei suoi tesori. Sembra sia avvenuto oggi. Gli eventi si ripetono nella folle indifferenza della storia e di molti che non vogliono/sanno vedere.
Come quei tedeschi che dopo la fine della guerra si dichiaravano ignari dei massacri e delle ruberie operati dai loro concittadini. Forse Dachau era una panetteria, non un Kz. Alcuni italiani, pur largamente simili nel carattere e nei comportamenti ai loro antenati di circa 2.000 anni or sono e, come loro, amanti dei miti, si distinguono, tuttavia, da quelli in un punto: hanno da tempo il vezzo di stabilire confronti (imbarazzanti e oversold) con le nazioni vicine, guardando oltre il confine con atteggiamento autoconsolatorio; non per imitare i migliori, ma per autoassolversi (ego me absolvo). Con rancide dichiarazioni apodittiche (il mantra: tutti ci invidiano, tutti ci copiano….). Io preferirei che ci stimassero non solo per Marconi, Fermi, Vivaldi, Leonardo, Galileo, ma anche per una amministrazione pubblica onesta ed intelligente, per i premi Nobel, per le riforme, per il sistema giudiziario efficiente, per il basso indebitamento nazionale, per l’assenza di sfrontato nepotismo.
Ma sappiamo tutti che la verità è una proprietà delle opinioni e le opinioni sono avvenimenti psichici. Non dimentichiamo che quando Mussolini a piazza Venezia dichiarò di aver dichiarato guerra a Francia e Gran Bretagna folle immense applaudirono entusiaste. Un oppositore di Cavour gli disse in un intervento alla Camera: “Signor conte, sa che cosa noi non crediamo? Noi non crediamo che Lei creda in quello in cui Lei ci racconta di credere”. Déjà vu? Cordialità