Caro Montanari, ho letto l’articolo della coppia Bassani/Miglio, pubblicato sul numero di settembre del Corriere, evidentemente in risposta ad un Tuo precedente editoriale critico sulla situazione catastrofica nazionale. Ti si rimprovera informazione tendenziosa, disfattismo e, da italiano, negazione di amor patrio. A sostegno della loro tesi, gli autori citano statistiche, non so da quale fonte, che farebbero dell’Italia un Paese ricco e progredito, dopo la Germania.
Troppo magnificante per esser vero. Sono appena tornato da un viaggio di lavoro nella mia terra, una regione, dove il divario tra Paese legale e Paese reale è abissale. Devo confermare, temo, la delusione per una realtà di gran lunga peggiore di quella che hai descritto. Tutti si lamentano. I servizi essenziali non funzionano. Poste, ferrovie, amministrazione pubblica funzionano a discrezione. Nell’allegro caos di responsabilità capitano fatti strani che, nel girotondo delle competenze, ti fanno perdere bussola. E la pazienza. Siamo un paese anomico, fatalista, senza regole e rispetto, ma anche di simpatiche generosità.
La disoccupazione incalza, come il malcostume e il degrado ecologico e geologico. Quattro mila posti di lavoro sono a rischio (Confindustria), duemila all’Alitalia. (Notizie riprese dal Corsera dal 17 al 20 c.m., verificabili). Il cardinale di Napoli, Sepe, sperava nella benevolenza di San Gennaro, perché “la città non ha ormai più nulla, né pane, né speranza”. Gli addetti allo smaltimento di rifiuti hanno chiesto alla camorra (figuriamoci) di anticipare gli stipendi che non riscuotono da mesi. Un imprenditore nel salernitano: “qui sventola bandiera bianca: lotterie varie e gioco-scommesse sono in aumento, come il consumo di lumini votivi per invocare vincite dal Santo”. Ora ci provano i Comuni, imitati dalla Grecia, ad esorcizzare la fortuna.
Quattro su cinque dipendenti della Regione sono di troppo, riceveranno il ben servito (Caldoro, presidente). Gli stipendi sono già stati decurtati del dieci per cento. Non ci sono soldi. Lo si sapeva, ma facevamo finta che la cornucopia fosse inesauribile… Arrangiarsi, una volta era esigenza per modesto reddito, oggi un´arte per sopravvivere. Per comodità e per non attirarmi, da Tuo pari, caro Montanari, l’accusa di disfattismo, premetto che quanto vado ad esporre è anche frutto di giudizi di ben più illustri compatrioti che citerò a mia discolpa. Siamo in crisi che è crisi culturale prima ancora che economica.
Benessere e consumismo sono stati per qualche tempo elemento di unione e la rabbia contro i partiti è anche segno di una fragile identità fondata sulla bella vita che fra tasse e scandali ci è sfuggita. Una volta l’Italia era un paese modello, ora è dei modelli, di individualisti, imprevedibile e inaffidabile. Le cause, dice Luigi Barzini nel libro “Gli Italiani”, si trovano nella necessità di dover mentire per non dire verità scomode e inimicarsi personaggi utili alla bisogna. Non compromettersi è d’obbligo. Già ai suoi tempi, Francesco Saverio Nitti (nella foto) denunciava questo vezzo nazionale: “Per 150 anni gli italiani sono stati ubriacati di bugie”. Mentiamo tutti, gli umili per necessità, i potenti per scaltrezza,”.“In cosa credono gli italiani” di Giorgio Bocca.
Siamo scettici da secoli. Il guaio più grosso è l’inestirpabile diffidenza e sfiducia degli italiani verso qualsiasi governo, legge, regolamento e autorità. Questa abitudine alla disobbedienza trova radici nella storia, quando le province italiane erano conquistate e governate da stranieri. Sotto vari aspetti, i politici italiani oggi si comportano come i predecessori succedutisi lungo il millennio. Amministrano il Paese come una volta un feudo: parlano di grandi progetti, essenziali, dicono, per il bene comune, in realtà concepiti per rafforzare il loro potere.
Preferiscono amministrare l’ignoranza e la miseria per mantenere in dipendenza l’elettorato, elargendo promesse e posti fittizi col risultato che poi scontiamo. Peraltro trovano seguito. “La disponibilità degli italiani alla dittatura è la loro vocazione al servilismo” (Montanelli). Pur di mantenere il potere si creano alleanze precarie e incostanti, partiti provvisori che si fondono, si intrecciano e si dissolvono senza occuparsi troppo di governare la cosa pubblica. Con l’ideologia non ha nulla a che fare. Molti patrioti e intellettuali del passato si sono chiesti come mai un popolo così ingegnoso, felice nell´esprimesi in una lingua musicale, ricco di fantasia, dotato di genialità, non sia stato capace, per secoli, di formare uno stato unitario, in un Paesedice Prezzolini – fatto apposta dalla natura per esserlo.
La medesima domanda se la pone Giorgio Bocca nel suo “Inferno…” Per quale peccato originale, per quali orgogli, per quale maledizione della storia o “fatalità geografica” non riusciamo a fare di questo nostro paese un paese unito? Il guaio è che il profondo sud, notava Ugo la Malfa, non è oriente, né terzo mondo, ma occidente cristiano e mediterraneo che per diverso corso storico risulta come sfasato rispetto alle regioni piú avanzate”.
Ma questo fa parte di un altro capitolo. Cosa ha a che fare tutto questo con l’informazione, che non può essere migliore dei fatti correnti? I menestrelli dell’informazione sono stati i megafoni della voce del padrone per guadagnarsene i favori, preferendo al giornalismo critico, investigativo, quello indulgente, soft, che non porta rogne. È finita l’epoca dei grandi editori che si ispiravano alla massima aurea “la notizia è sacra, il commento libero” e richiamavano l’interesse dell’opinione pubblica. Caro Montanari, continua! Sei in parola con i lettori.