Il tenore di vita non conta più. Il nuovo principio si basa sull’autosufficienza del coniuge. Per i matrimonialisti finisce un’epoca

Una rivoluzione, quella effettuata dalla Cassazione, che modifica, dopo 30 anni trascorsi dalla sua introduzione, la legge sul divorzio, all’epoca impostata con lo scopo di tutelare le donne, considerate economicamente più deboli. Dall’11 maggio non più. Per effetto della sentenza n. 11.504 della sezione civile della Suprema Corte, se i Tribunali riconoscono legittimo il riconoscimento di un assegno, se ne valuterà l’entità sulla base del “parametro di spettanza”, cioè sulla reale autosufficienza economica di chi lo richiede.

Modifica dovuta al fatto che, come spiegano i Magistrati, “con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale, a differenza di quanto avviene con la separazione personale che lascia ancora in vigore gli obblighi coniugali anche se attenuati”. Essendo il matrimonio “un atto di libertà e autoresponsabilità”, con la recente sentenza relativa al divorzio tra l’ex ministro Vittorio Grilli e l’imprenditrice americana Lisa Lowenstein, i Giudici hanno respinto il ricorso con il quale l’ex moglie chiedeva l’assegno di divorzio, già negatole con verdetto emesso dalla Corte di Appello di Milano nel 2014.

Rifiuto sancito in base alla valutazione della sua indipendenza economica, essendo titolare di un patrimonio immobiliare e proprietaria di redditi, quindi sulle “capacità e possibilità effettive” di lavoro personale e sulla “stabile disponibilità” di un’abitazione. Decisione che rivoluziona il diritto di famiglia in quanto ora l’assegno può essere riconosciuto solo se chi lo richiede dimostra di non avere i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento. Giudizio conforme agli orientamenti degli altri Stati europei, ma che, secondo qualcuno, potrebbe creare rischi a molte persone.

Non a caso ciò ha dato origine a molte proteste, dettate dal panico delle ex mogli. E ha spinto Vincenzo Bassi, responsabile giuridico del Forum delle Associazioni Familiari Italiane, a dire di essere “molto preoccupato”, in quanto c’è il rischio che “nel caso di famiglie della media e piccola borghesia, il coniuge debole, ad esempio una moglie che ha dedicato la vita alla famiglia, possa trovarsi in una situazione di povertà”.

In effetti, la sentenza della Cassazione si riferisce ad una signora cui è stato negato l’assegno, già da lei rifiutato al momento della separazione, in quanto “imprenditrice con un’elevata qualificazione culturale, titolare di alta specializzazione ed importanti esperienze professionali anche all’estero”.

Il che avvalora il principio della responsabilità dei coniugi che, solo perché sposati, non possono sempre esigere rendite a vita. Delle quali, forse, potrebbero avere bisogno in seguito, qualora perdessero il lavoro, quindi non potessero più far fronte alle spese quotidiane, compreso quella dell’affitto, anche a causa del continuo aumento dei prezzi. O al mantenimento dei figli, malgrado siano rimasti inalterati gli assegni a questi destinati.

Ovvio che le sentenze giuridiche non hanno, o non dovrebbero avere, potere di legge. Ma è probabile che ce ne saranno altre simili, basate sul concetto laico che il matrimonio è solo una vicenda effimera e revocabile, contrariamente a quanto espresso nella Costituzione (art. 29) e nel Codice civile (articoli 79-230). Per la Suprema Corte, invece, diventa solo un contratto che può essere poi annullato.

Con due conseguenze in contrasto. Infatti può comportare alle donne il rischio di ritrovarsi in condizioni economiche inadeguate, benché, da mogli e da madri, si siano dedicate al benessere dei figli e dei mariti, magari rinunciando ad una vantaggiosa carriera lavorativa. Ma anche a salvaguardare l’ex marito dalla minaccia di accontentare l’ex consorte, qualora volesse, con l’assegno di divorzio, garantirsi per sempre una rendita vantaggiosa. Il Presidente degli avvocati matrimonialisti l’ha definita una “sentenza coraggiosa perché rivoluziona il nostro diritto di famiglia”, che equipara l’Italia “agli altri Paesi europei nei quali l’assegno divorzile dipende essenzialmente dai patti prematrimoniali”. Come avviene anche negli Stati Uniti dove esistono da anni. Una modifica già annunciata da altre sentenze.

Quelle che, il secolo scorso, hanno fatto ridurre l’ammissione dell’assegno dal 60% al 19% del 2016. Una delibera, quella della Suprema Corte, che effettua una riforma della giurisprudenza ed abolisce, come ricorda l’Avv. Matrimonialista Gassani, “il principio sancito nel 1970 dalla legge 898”, che sanciva il diritto al divorzio ed istituiva quello all’assegno. Decisione suggerita dalla convinzione che ormai si tenda frequentemente a non considerare più il matrimonio come una dimostrazione d’amore. Ma solo una sistemazione economica.

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