Nella foto: Manifestazione corona. Foto di ©Michael Hofmann su Pixabay

Il destino culturale delle società industrializzate sta emergendo in forme che, forse, solo in parte erano prevedibili

Non sono passati molti anni da quando sembravamo esser convinti della fondatezza dei risultati raggiunti nei più svariati ambiti. Dalla politica, con il consolidamento delle democrazie liberali figlie della rivoluzione illuministica, al potenziale della tecnica e dell’informatica. Un mondo liberale ed informatizzato, in cui, apparentemente, tutti avrebbero avuto la possibilità di esprimersi secondo canoni prevalentemente dettati dagli stessi principi liberali che ne formano come la cornice.

Ora, mentre lo sviluppo tecnico ed informatico, continua ad apparirci inarrestabile – salvo poi continuare a funzionare grazie alle risorse che gli fornisce il pianeta -, la “razionalità” sulla quale sembravano fondarsi le più consolidate convinzioni ideologiche delle civiltà industrializzate, sembrano da qualche anno a questa parte barcollare pesantemente. Lo si nota in un dilagante dissenso nei confronti dei sistemi democratici, ai quali si rimprovera di non aver adempiuto ai doveri che gli competevano. L’emergere di movimenti politici conservatori, il consenso popolare da questi ottenuto in conseguenza della crisi in cui versano le democrazie e le sinistre liberali, sono solo alcuni dei caratteri di un’epoca in cui, a molti, nulla sembra più scontato.

Così se il concetto di “identità nazionale”, ad esempio, sino a pochi anni fa ci appariva come una sorta di imbarazzante imprecazione da evitare, oggi stiamo assistendo alla rinascita di un sinistro orgoglio (e qui sinistro non sta per la parte politica, ma per il sentimento di inquietudine che produce) per la propria identità nazionale che in parte ci riporta alla memoria di tempi poco illuminati – nel doppio senso dell’assenza di luce e dell’assenza di ragione!

Indispensabile, in tutto ciò, anche il contributo della tecnica. La trasmissione di idee, giuste o sbagliate che siano, si realizza – da una decina d’anni a questa parte – ad una velocità prima impensabile. I social media, attraverso la diffusione dello smartphone, sono divenuti di pubblico dominio e rispetto alla radio e alla televisione, offrono possibilità di interazione globale mai viste precedentemente. Oggi, possiamo esprimere il nostro pensiero al nostro idolo politico in modo immediato e altri come noi fanno altrettanto. Le idee si rafforzano attraverso la condivisione e le ideologie possono propagarsi a macchia d’olio quasi senza controllo da parte di chi gestisce i sistemi a riguardo.

Attraverso un bombardamento quotidiano di messaggi, in parte considerabili al limite del tentativo occulto di manipolazione collettiva, si diffondono convinzioni che non hanno nulla a che vedere con la realtà, ma che diventano realtà per il fatto stesso che vi ci si crede.

Il nostro rapporto con il concetto di verità si è ribaltato e ha trasformato il concetto stesso. Ciò che è vero non è più il risultato della rivelazione di un determinato stato di cose attraverso un linguaggio che se ne fa custode e testimone. La verità si crea e la si crea a suon di post su Facebook, Instagram o Twitter. Lo si fa semplicemente ripetendo giorno per giorno gli stessi due o tre slogan – magari accompagnati da un bel sorriso smagliante e la faccia da ebete -, nella speranza che qualcuno, al quale quello slogan piaccia più di un altro, abbocchi, metta un like e condivida. Qualcun altro a cui quella mezza verità piace, lo si trova sempre. L’amore per la verità non è più una forma di adesione a ciò che è, perché ciò che è viene sostituito con ciò che vorrei che fosse e che qualcuno per me ha fatto diventare la nuova realtà.

In questo scenario, la razionalità dello scientismo, la fede nei risultati da laboratorio e delle formule matematiche, è costretto ad abdicare di fronte a forme di irrazionalismo che, purtroppo, nulla hanno più a che vedere con le intenzioni di certe correnti letterarie e filosofiche di fine ottocento e di inizio novecento che cercavano di mettere in risalto le dimensioni recondite della natura umana, fatta non solo di razionalità, ma anche di istinto e di animalità.

L’irrazionalismo a cui assistiamo oggi è un irrazionalismo imbecille, privo di istruzione e ahimè arrogante, che sostituisce la scienza alla stupidaggine letta su Facebook, che dà più importanza all’opinione infondata piuttosto che a quella dell’esperto perché, si sa, l’esperto nasconde sempre qualche interesse personale. In questo quadro ci sono poi anche coloro, i quali pur sapendo di mentire, mentono perché gli fa comodo. Ci sono i moltiplicatori delle cosiddette fake news che mirano a destabilizzare ancora di più gli animi di speranzosi lettori, i quali non sono alla ricerca di informazioni, ma di conferme (possibilmente leggibili in due minuti). E per ognuno di questi c’è un bottegaio di turno. Se, così, ho sempre avuto l’impressione che qualcuno mi stesse fregando, basta che qualcuno metta in giro la voce che la colpa sia degli africani e il gioco è fatto. Io non ho la prova diretta di ciò che mi vien detto, ma avevo bisogno di qualcuno che mi desse in mano un colpevole ed ora ce l’ho. Ed è un colpevole comodo, non fa parte dei miei, lo posso insultare quando voglio e, con un po’ di fortuna, non sarò neppure da solo nella mia battaglia. Il bisogno di identificarsi con qualcosa e qualcuno spinge a credere a tutto e al contrario di tutto.

Questo è solo uno dei più svariati esempi che si possono fare. La ricerca di conferma piuttosto che di informazione e di dati di fatto è un carattere riscontrabile in campo politico, ma anche in campo medico-scientifico e religioso. Sulla questione della pandemia dominante, ad esempio, lo strutturale carattere di pluralità di opinioni e di apertura ai dati di laboratorio in continuo evolversi, è stata svenduta dai cialtroni di turno come incapacità della scienza di dare risposte. In parte ne sono colpevoli anche gli esperti, i quali si son fatti trascinare nella caciara televisiva del momento, senza dar prima spiegazione delle regole del gioco, ma resta il fatto che chi deve poter dire la propria in ambito medico, non sono anzitutto i giornalisti o gli pseudo-filosofi, ma coloro che i laboratori e gli ospedali li abitano dalla mattina alla sera.

Si potrebbe andare avanti per pagine, prendendo spunto dalla crescente irrazionalità di certe posizioni conservatrici nel cuore del cristianesimo – si pensi in questo senso al movimento dei creazionisti e al loro tentativo di sabotare le conquiste della biologia e della paleontologia -, per poi parlare del penoso tentativo di alcuni di voler far passare la terra per piatta, ignorando le più elementari leggi della fisica e le più consolidate scoperte dell’astronomia.

Certo è che i fenomeni descritti impongono una seria e rinnovata riflessione sul concetto di verità e libertà e sull’indispensabilità di formare generazioni a venire che si oppongano al dilagare di un’epidemia di ignoranza che rischia di divenire ancor più mortale della pandemia in corso.

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