Un bilancio dei primi mesi del governo Draghi

Premesso che Mario Draghi mi è simpatico, così, a pelle, per quella forma di empatia del tutto irrazionale che si può provare solo con gli sconosciuti. Non fosse altro che per quella faccia bonaria un po’ da fumetto: una specie di Signor Buonaventura dei giorni nostri. Fatto salvo, che aldilà dell’aspetto rassicurante, nessuno si lasci ingannare dai modi pacati e il tono misurato: quell’uomo deve avere una struttura di acciaio inossidabile. Intanto sarebbe interessante sapere cosa lo abbia indotto ad accettare una poltrona che, nella migliore delle ipotesi, si rivelerà comoda come il giaciglio di un fachiro. Perché per quanto fair play si possa avere, diventa davvero difficile fare il Presidente del Consiglio dei ministri, e farlo in Italia e farlo durante l’unica pandemia a memoria dei cittadini viventi: senz’altro erano meglio incarichi a risvolto economico: qui, invece, sulla vita dei più, tocca prendere decisioni che cambiano il corso della storia, ma i cui conti si fanno sulle vittime, non sui punti del PIL e mettendoci la faccia ad ogni nuova contromisura. Poiché, quali siano le ragioni di questa discesa in campo difficilmente ne verremo a conoscenza, non si può fare altro che stare alla finestra e osservare come si approcci a un momento sociale/economico/sanitario senza precedenti, chi della razionalità e della fede nei numeri e non solo, ha fatto la cifra stilistica di un percorso professionale sinora senza incertezze. Personaggio autorevole anche oltre i confini europei, figura di riferimento per i delicatissimi equilibri di un’Europa che pare che più la si voglia compatta, più tende a sfilacciarsi. È difficile dire se Draghi saprà e potrà essere il condottiero senza macchia e senza paura che ci guida verso la rinascita, ma i concorrenti al ruolo sono pochi e anche poco titolati, per cui non ci resta che stringerci attorno a quest’uomo, che centellina le parole e rifugge dai social, permeato di una concretezza che solo la lunga pratica con i numeri può dare. Se credete che economicamente l’Italia sia messa male, bisogna pensare che potrebbe andare pure peggio. Ad esempio, se il governo desse ascolto ai “geniali suggerimenti” della Cgil in ambito fiscale, una mitragliata di nuove tasse, imposizioni, gabelle e similari da far venire la pelle d’oca solo a sentirle nominare tutte insieme, porterebbe ad un ulteriore conflitto sociale. Affitti, successione, prima casa. Siamo nel bel mezzo di una pandemia? Da due anni ci sono migliaia di partite iva impossibilitate a lavorare, indebitate fino al collo, con fatturato prossimo allo zero e costi fissi da sostenere? Poco importa. Per la Cgil in vista del nuovo Documento di Economia e Finanza (Def) bisognerebbe lavorare per ripensare tutta l’imposizione fiscale italiana. Ma purtroppo peggiorandola. E coloro i quali dovrebbero stare dalla parte dei lavoratori e di coloro che si trovano in situazioni a dir poco vicine alla “fine”, che fanno? ritengono che la ricetta per raggiungere l’obiettivo non sia tagliare le tasse (non sia mai), come prevede il DEF per la riduzione della pressione fiscale, anzi, tutt’altro. E infatti suggeriscono tre interventi a gamba tesa.

Primo suggerimento: alzare l’imponibile dell’Irpef. Tradotto: far rientrare sotto la ghigliottina anche i redditi da locazione. Quindi, non solo da un anno e mezzo il blocco degli sfratti impedisce ai proprietari di casa di tornare in possesso del proprio immobile. Tra l’altro non solo avanza, ma ormai si tende a legalizzare le occupazioni abusive con la scusa del “diritto alla residenza”, senza che la legge faccia nulla, anzi vessando anche i proprietari nel caso gli illegali abbiano compiuto atti non imputabili a loro ma al povere titolare dell’immobile. Adesso per la Cgil ai malcapitati locatori, colpevoli solo di possedere un bene immobiliare, bisogna pure colpirli con l’erario.

Secondo suggerimento: rivedere i regimi forfettari. Sul tema anche il ministero dell’Economia però la pensa allo stesso modo. Il rischio è che piccole partite iva e giovani autonomi possano vedersi incrementare l’aliquota dal 15% al 23%. Infine, terzo suggerimento: aumentare le imposte di successione, una delle più odiose gabelle di sempre. La Cgil la vede come un modo per “ridurre le disuguaglianze derivanti dalla provenienza familiare”. L’idea sarebbe quella di ritoccare verso l’alto le aliquote e introdurre il tributo pure su quei beni oggi esentati. Ed infine, come ciliegina sulla torta, torna in voga il desiderio mai sopito di innalzare le tasse sulla casa, compreso il ripristino di quella sulla prima abitazione. La Cgil vorrebbe attuare una “riorganizzazione in senso molto più progressivo” delle imposte già esistenti, che tradotto dal burocratese significa: una patrimoniale immobiliare che colpisca chi ha avuto la malaugurata idea di investire nelle grandi città. Pertanto, come da più parti già affermato: “più che una ricetta economica, sembra l’epitaffio del ceto medio”.

Dal nostro osservatorio di cittadini comuni, vorremmo solo augurargli di non essere sacrificato sull’altare del qualunquismo. La soluzione, se c’è, è sempre più complicata di quello che sembra.

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