Foto di: ©Gerd Altmann auf Pixabay

Come prendere coscienza dell’educazione soffocata dai media e dalla tecnologia

La pandemia in cui ci troviamo come ingabbiati, ha modificato il nostro modo di rapportarci gli uni agli altri, ci ha obbligati ad una distanza interpersonale non voluta. Se, dunque, è vero che quel fenomeno che chiamiamo educazione prende forma nell’ambito dei rapporti umani che costituiscono qualcosa come il nostro ossigeno spirituale, proprio questo fenomeno sta subendo un forte contraccolpo che ci spingerà, molto probabilmente, a rivedere i canoni attraverso i quali avremo da organizzare le strutture educative competenti.

Educazione e cultura

Il concetto di educazione è insito in quello di cultura. Da che l’uomo produce cultura, si preoccupa di educare, perché è attraverso l’educazione che la cultura ha la possibilità di continuare ad esistere e perché non ci può essere vita umana nel senso in cui la conosciamo oggi senza che vi sia cultura. Noi abbiamo la possibilità di diventare umani (in un senso sia antropologico che etico) solo a partire dall’interno di comunità umane che si preoccupano di trasmettere cultura e ciò avviene attraverso processi educativi. Queste due componenti, quella comunitaria e quella pedagogica, ultimamente, a causa della pandemia, sono venute a vacillare.

Il ruolo dei media comunicativi nell’educazione

Un aspetto, ad esempio, del tutto nuovo in campo pedagogico – ma anche al di lá di questo – è stata ed è la crescente importanza dei media comunicativi. Improvvisamente ci siamo ritrovati di fronte alla necessità di intensificare l’utilizzo di media, i quali erano sì già presenti nella vita personale di tutti noi, ma di certo non nella misura che possiamo constatare oggi. Per questa ragione, in ambito scolastico e laddove le strutture lo hanno permesso, si è optato per una didattica a distanza. A questa, come nel caso delle Kindertagesstätte, non è stata possibile altra alternativa che la sospensione quasi totale delle attività – a dimostrazione del fatto che un’informatizzazione totale dei processi educativi, forse, non sarebbe pensabile. Al di là di ciò, anche il rapporto tra lo spazio domestico e quello professionale e tra il tempo libero e quello lavorativo sono cambiati. L‘appartamento privato è divenuto il nostro nuovo ufficio e molti figli si sono ritrovati a far lezione guardando l‘insegnante e i propri compagni all‘interno di un monitor mentre i genitori facevano conferenza con il proprio corrispondente in Cina durante una call su Zoom. La separazione degli spazi è stata violata a tal punto che quel che pensavamo come famigliare si è tramutato in professionale e viceversa. In tutto ciò, le scuole e gli asili hanno potuto offrire il proprio apporto solo sino ad una certa misura e questo ha messo in crisi anche il ruolo di insegnanti ed educatori nella società. Certo non al punto da farne impallidire del tutto l’importanza, ma di sicuro ponendoli di fronte a grossi interrogativi sulle vie da seguire per il futuro a venire.

Famiglia, media ed educazione

Ci sono stati tempi non enormemente distanti dal nostro in cui era chiaro che educare significasse crescere in una famiglia concepita in senso tradizionale (madre, padre, figli) e compiere un percorso scolastico che portava i singoli individui ad avere poi una funzione in società. Questa visione, ovviamente, è sorpassata da tempo. La famiglia in un senso univoco non esiste più e educare, nella società multiforme in cui ci troviamo, non è più ciò che era mezzo secolo fa. Al di là di ciò, come già affermato, si è ora aggiunta l‘intermediazione invasiva dei mezzi comunicativi di massa propri della rete informatica, i quali fanno sbiadire come in una vecchia foto, la radio e la televisione. Oggi educare significa trasmettere condotte e sapere dall’interno di quella rete sconfinata di messaggi che attraversano l’etere che chiamiamo internet e questo perché non è possibile pensare l’educazione senza comunicazione e non è più possibile pensare la comunicazione senza la rete. Ma a questo punto, la pandemia, potrebbe avere avuto solo l’ingrato compito di farci prender coscienza di qualcosa che è di per sé già insito in un destino che ci appartiene tutti e cioè che stiamo sostenendo, senza rendercene forse conto sino in fondo, uno spostamento dell’asse attorno a cui si muove il fenomeno educativo, al di fuori dell’ambito umano. Ciò che verrebbe per conseguenza a mancare è proprio l’elemento essenziale dell’educazione e cioè la trasmissione di condotte umane e quel supporto necessario affinché ogni individuo eserciti la propria libertà a diventare persona adulta e responsabile. Una mediazione eccessiva da parte di apparati tecnologici potrebbe condurre ad una neutralizzazione di ciò che all’educazione è essenziale come la forma alla materia e cioè l’insostituibilità della dimensione animale che ci costituisce, il fatto cioè che siam fatti in carne ed ossa.

Prendere coscienza

Concludendo, si potrebbe dire che, se da una parte non abbiamo più la possibilità di frenare un processo storico di informatizzazione già avviato, è tuttavia necessario prendere coscienza di quanto sta accadendo per non correre il rischio di dare completamente in mano alle macchine ciò che è compito anzitutto nostro.

Prendere coscienza di questo accadere significa essere presenti a se stessi nel momento in cui le macchine tentano di prendere il sopravvento. Significa anticipare il loro tentativo di appropriarsi della nostra anima (metaforicamente parlando) affinché non si interrompa quel processo di trasmissione delle condotte che è proprio del fenomeno educativo. Che questa presa di coscienza non sia un’ulteriore condotta che sinora ci era sfuggita e che potrebbe rappresentare la carta vincente per un nuovo mondo più umano?

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here