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Rivoluzione delle donne in Iran

La scintilla è stata la morte “accidentale” come quella di Stefano Cucchi di Mahsa Amini, una giovane ragazza di 22 anni e di angelica bellezza. Era originaria della provincia curda e si trovava temporaneamente a Teheran per far visita a suo fratello. Stava passeggiando con i parenti per le strade di Teheran, quando è stata arrestata dalla Polizia Religiosa perché la sua testa non era velata a sufficienza. Portata in caserma, ne era uscita moribonda. La versione ufficiale dice che la poveretta si era improvvisamente ammalata di un’insufficienza renale fulminante. Naturalmente era ancor meno credibile che nel caso Cucchi.

Le donne dell’Iran meritano il più alto rispetto da entrambi i sessi. È incredibile quante di loro son riuscite a farsi strada, malgrado le difficoltà enormi, in campi anche inusuali, come il pugilato, la matematica, l’architettura, la giurisprudenza, la letteratura, la musica, le arti figurative, arrivando a notevolissimi risultati e persino a premi Nobel. Ma soprattutto è incredibile il coraggio leonino con cui osano affrontare, disarmate, l’apparato repressivo degli ayatollah che ha minacciato perfino l’intervento dell’esercito.

Quello che sta avvenendo non è cosa da poco. L’Iran, già dall’epoca di Serse e Artaserse, quando si chiamava impero persiano, è sempre stato la potenza egemone dell’Asia centrale, ed ha le spalle coperte da secoli e secoli d’una civiltà non inferiore a quella cinese o a quelle europee.

Pietro Citati le ha dedicato un libro: “La primavera di Cosroe: venti secoli di civiltà iranica” (Adelphi). Quindi uno sconvolgimento politico di tali proporzioni che tocchi questo paese ha molte più conseguenze di uno in Eritrea o in Nicaragua. Per questo motivo le donne che vanno in strada a Teheran devono venir seguite con molta attenzione e si possono considerare delle autentiche rivoluzionarie, anche se non hanno letto le opere di Marx né del giovane Cacciari.

Quando scoppiò la rivoluzione islamica nel 1979 in Italia si videro scendere in strada manifestanti della sinistra che inneggiavano ad essa ed all’ayatollah Khomeini che dal suo sicuro rifugio di Parigi, incitava la popolazione allo scontro frontale con lo scià. Il sottoscritto non era fra loro. A me non piacevano quelle preghiere di massa sulle pubbliche piazze, l’invocazione della legge islamica, e soprattutto quell’aura di malefico vecchiardo irradiata da Khomeini destava in me una profonda diffidenza. Per questo motivo i miei amici di sinistra mi diedero allora del “fascista”. Uff, sempre la stessa solfa! L’icona di Khomeini era per loro intoccabile come quella del Che Guevara. Io, dal canto mio, lo paragonavo al sinistro personaggio di Dosifei, il fanatico religioso nella Khovancina di Mussorgsky, che era ed è una delle mie opere preferite. Non che mi piacesse lo scià, ma la repubblica islamica mi piaceva ancora di meno.

Salito al potere, quell’idolo della sinistra (di allora) instaurò un regime di terrore a furia di esecuzioni capitali in massa (l’impiccagione sulle gru per gli uomini, la lapidazione per le donne) e grazie ad una sua iniziativa “diplomatica” provocò l’elezione di Reagan alla Casa Bianca. Non solo condannò a morte a distanza Salman Rushdie, ma anche il nostro Pippo Baudo, orrendamente colpevole per averne fatto la caricatura davanti alle telecamere. Adesso, a decenni di distanza, si sta svolgendo davanti ai nostri occhi una vera rivoluzione ed io mi auguro di cuore che essa abbia uno sbocco positivo.

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