Foto simbolica. Foto di Fabien Huck su Pixabay

Con queste parole il Presidente della Repubblica Steinmeier ha stigmatizzato quanto successo ultimamente nelle città di Mannheim, Gelsenkirchen, Berlino, Francoforte ecc.…ecc.

Dopo alcune manifestazioni antisemite nelle città tedesche, i politici tedeschi hanno nuovamente sottolineato il diritto di Israele di esistere, ed il suo ambasciatore Issacharoff ha espresso preoccupazione per gli slogan contro Israele, ed ha espresso dubbi sul fatto che tali incidenti possano sempre essere prevenuti, ma ha elogiato la chiara posizione dei politici in Germania. Ci sono state anche manifestazioni di solidarietà per Israele da Francoforte a Lipsia.

Ma la domanda che ci si pone già da tempo è: perché? Perché l’odio, perché la violenza, perché – nel migliore dei casi – l’indifferenza?

Tutti noi, quando iniziamo a confrontarci con “la notizia”, con l’idea di quello che il popolo ebreo ha dovuto sopportare con la Shoah e lo sterminio di gran parte degli ebrei che vivevano in Europa alla metà del Novecento, ed oggi ancora deve sopportare, tutti noi abbiamo sentito nel cuore e nella mente questo inevitabile interrogativo. Ma non è solo la domanda retorica di chi non si capacita di una assurda enormità. È la domanda che spinge decine di storici ad affrontare ancora una volta il tema dell’odio, un bisogno di capire, di darsi una ragione. E questa ragione spesso sfugge, anche a chi è del mestiere. Si ritorna a parlare così di “follia nazista”, o di quella che è stata denominata “una lucida e circostanziata politica, che si pose in continuità con quella precedente e che prefigura in modo drammatico quella successiva”. Si tirano fuori persino risvolti esoterici, mistici. Ma ovviamente tutto questo non basta a spiegare “la misura” dell’odio verso un popolo. Non basta a mettere in moto e nutrire una macchina dello sterminio che ha cancellato milioni di uomini, donne e bambini dalla faccia della terra. Non basta, no.

E allora la domanda perché ancora oggi? resta sospesa.

Il motivo delle proteste nate anche in Germania è l’escalation del conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, che ha provocato ancora molte morti e bombardamenti reciproci durante queste settimane e per fortuna ora terminate. I missili – oltre 5000 – illuminano il cielo notturno mentre vengono lanciati verso Israele da Khan Younis nel sud della Striscia di Gaza.

Ma, oltre alle manifestazioni pro-Israele, allo stesso tempo ci sono anche le manifestazioni pro-Palestina, come quella di Berlino – sciolta dopo i disordini – che ha visto la partecipazione di 3.500 persone, con lanci di pietre e bottiglie alla polizia, alla quale hanno partecipato anche sostenitori di Hamas, dei Fratelli Musulmani e degli estremisti turchi di destra Lupi Grigi. A Brema circa 1.500 persone, anche con bandiere turche, hanno sfilato scandendo slogan come “libertà per la Palestina”, “Allāhu akbar” e sollecitando la fine delle operazioni militari di Israele contro Gaza.

C’è stata anche una protesta di 500 persone ad Hannover, dove è stata data alle fiamme una bandiera di Israele.

Però non solo ebrei ma da sempre anche i cristiani vengono presi di mira: “Dobbiamo sbarazzarci dell’illusione che tutti quelli che arrivano qui siano attivisti dei diritti umani”, dice Max Klingberg della International Society for Human Rights, attivo da 15 anni nell’accoglienza dei rifugiati in Germania. “Una parte non indifferente dei nuovi arrivi vive una intensità religiosa di livello paragonabile come minimo ai Fratelli Musulmani”.

Klingberg parla di aggressioni gravi fino all’omicidio anche tra musulmani stessi (sunniti contro sciiti), “ma il peggio tocca ai cristiani”. Pertanto, ciò che si chiede è che “anche i musulmani molto religiosi devono imparare a vivere e con-vivere con le altre religioni”.

Infine, vi è il fattore della competizione nel “mercato delle fedi”. L’incapacità della chiesa cattolica e della chiesa protestante di fronteggiare la secolarizzazione e installare una disciplina all’interno delle proprie gerarchie è stata aggravata dall’entrata in scena di nuove religioni, come l’islam, che si stanno facendo spazio fra le macerie dell’ordine cristiano-centrico oramai in rovina.

Ogni anno, migliaia di tedeschi disincantati dal cristianesimo decidono di pronunciare la shahādah, la testimonianza di fede con cui si formalizza l’adesione all’islam, e la loro esistenza è tanto palese per le organizzazioni islamiche quanto ignorata dalle autorità federali. Pur in assenza di cifre ufficiali sul fenomeno, si stima che i tedeschi rinati nell’islam possano essere più di 120mila. Ma il vero motivo è di natura culturale ed il grande pericolo è che la nostra fede, ormai, è ridotta a un sentimento. Se io non faccio reagire la fede nella mia quotidianità, se non rischio la vita affrontandola a partire dalla fede dentro la grande famiglia della Chiesa, non potrò più percepire la sofferenza di tanti fratelli, e fatalmente, non me ne occuperò. Certamente l’atteggiamento del cristiano è quello “della speranza in Dio, che consente di non lasciarsi abbattere dai tragici eventi”. Il Signore ci chiama a collaborare alla costruzione della storia, diventando, insieme a lui, operatori di pace e testimoni della speranza in un futuro di salvezza e di risurrezione. Scrive il Papa: “La fede ci fa camminare con Gesù sulle strade tante volte tortuose di questo mondo, nella certezza che la forza del suo Spirito piegherà le forze del male, sottoponendole al potere dell’amore di Dio. L’amore è superiore, l’amore è più potente, perché è Dio: Dio è amore”.

Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni, un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno; e pertanto, il Vangelo dell’amore e della misericordia, sono il tesoro più prezioso che ci è stato donato e la testimonianza più efficace che possiamo dare ai nostri contemporanei, rispondendo all’odio con l’amore, all’offesa con il perdono.

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