L’auto del futuro sarà in grado di garantire in Germania il mantenimento degli attuali posti di lavoro? Questa è la domanda che la maggior parte dei tedeschi si pone attualmente. Molto dipenderà dalle scelte dell’industria e delle decisioni del governo di Berlino ma anche dal crescendo della temibile concorrenza cinese

Sono trascorsi ormai quattro anni da quando le autorità americane hanno scoperto che le auto diesel del gruppo automobilistico Volkswagen erano tutte equipaggiate con un software che consentiva loro di simulare il rispetto delle severe norme ambientali. Norme che venivano invece clamorosamente ignorate dai produttori di Wolfsburg con grave danno soprattutto di coloro che vivevano nelle grandi aree urbane e che erano costretti a respirare quotidianamente i nocivi gas di scarico del diesel. Fu uno scandalo di insospettate dimensioni anche perché nell’arco di qualche settimana ci si rese conto che anche gli altri grandi gruppi automobilistici, non solo tedeschi (Daimler e Bmw) ma anche francesi e italiani, avevano tutti regolarmente adottato l’illegale sistema messo a punto con la tecnologia della Bosch. Sono trascorsi quattro anni, dicevamo, e a questo punto si sarebbe potuto pensare che i Paesi dell’Unione Europea si sarebbero tutti dati da fare a quattro mani per rimediare al danno. Niente di tutto questo, invece. Nell’ultima settimana dell’appena trascorso mese di giugno 2019 si è appreso che il Kraft-fahrt Bundesamt (KBA) – l’ente federale della motorizzazione di Berlino – si è visto costretto a ordinare al gruppo Daimler di Stoccarda di richiamare in fabbrica circa 60mila fuoristrada Mercedes GLK 220 con motore diesel anch’essi equipaggiati con un più o meno illegale software per i gas di scarico. La Daimler si è dichiarata pronta a eseguire l’ordine del KBA, precisando nello stesso tempo che presenterà un ricorso contro la richiesta che dal suo punto di vista non sarebbe in parte motivata. Nota bene che nell’agosto dello scorso anno il KBA aveva già ordinato alla Daimler di richiamare in fabbrica 680mila diesel Mercedes circolanti nei vari Paesi europei, di cui 280mila in Germania, proprio per lo stesso motivo. Vale a dire la presenza di un raffinato software, che soltanto in occasione dell’omologazione della vettura consentiva di certificare un’emissione di gas di scarico rispettosa delle norme ambientali vigenti, mentre poi nella realtà di ogni giorno consentiva ai motori diesel invece di emettere un volume del dannoso NO2 (ossido di azoto) decisamente proibitivo. Senza il ricorso a questo illegale software le auto diesel della Volkswagen e anche degli altri grandi gruppi automobilistici europei non sarebbero mai state in grado di superare il test per l’omologazione.

Il giorno del giudizio

Il recente comportamento della Daimler tutto sommato potrebbe anche apparire in un certo senso comprensibile. Colta con le mani nel sacco, come si usa dire, sta ora evidentemente cercando di uscire dall’imbroglio come meglio può in termini di immagine. Molto più grave resta, invece, la vicenda del gruppo Volkswagen che soltanto negli USA ha riconosciuto la sua colpa, mentre in Germania e in tutti gli altri Paesi dell’EU continua ad affermare di non aver mai violato le vigenti leggi ambientali e quindi di conseguenza di non essere tenuto a pagare alcun tipo di risarcimento. A sentire gli avvocati della Volkswagen, la centralina della Bosch per il contenimento delle emissioni avrebbe avuto principalmente il compito di evitare guasti al motore diesel causati da un suo eventuale surriscaldamento. Così banale però la vicenda non è. La resa dei conti del “dieselgate” ha già un nome e una data: Braunschweig 30 settembre. Nella cittadina della bassa Sassonia, non lontano da Wolfsburg, sede della centrale del gruppo Volkswagen, il tribunale locale alla fine di settembre avvierà il processo a carico dei protagonisti, o presunti tali, responsabili della più grande truffa che sia mai stata portata a termine nella storia dell’industria automobilistica mondiale. Primo tra tutti, l’amministratore delegato Vw, Martin Winterkorn, il quale ha avuto il buon gusto di dimettersi nel settembre del 2015 “spontanea-mente” affermando di essere venuto a conoscenza egli stesso della truffa ambientale soltanto dopo la sua scoperta fatta dalle autorità ambientali degli USA soltanto due settimane prima.

Processo in Italia

Sul mercato automobilistico italiano l’associazione Altoconsumo ha già chiesto a nome di oltre 70mila automobilisti danneggiati dalla Volkswagen nel processo iniziato l’8 maggio al Tribunale di Venezia un risarcimento del 15% del prezzo pagato per l’auto incriminata all’atto dell’acquisto. Qualora la causa dovesse andare in porto nel senso voluto da Altoconsumo ciò comporterebbe per il gruppo automobilistico tedesco il pagamento di una somma attorno ai 300 milioni di euro. Una simile azione, sul modello di quella attuata negli USA conclusasi per la Volkswagen con il pagamento di circa 30 milioni dei dollari, è in corso, oltre che in Italia, anche in Germania, Belgio, in Portogallo e in Spagna. Fatti i debiti conti, il gruppo automobilistico di Wolfsburg ha già accantonato un miliardo di euro di costi straordinari. Una cifra che però difficilmente sarebbe sufficiente qualora altri tribunali tedeschi decidessero di seguire l’esempio americano di riconoscere il diritto a un completo risarcimento del prezzo dell’autovettura pagato dagli acquirenti all’atto dell’acquisto. Ciò si è verificato ultimamente anche in Germania, ma ovviamente la Volkswagen è subito ricorsa in appello contro simili sentenze. Ragion per cui sarà necessario aspettare il loro esito finale e soprattutto anche di vedere a quali decisioni giungerà il grande processo di Braunschweig il cui inizio è previsto per il 30 settembre. Il processo, che qualcuno ha soprannominato come “la carica dei 400mila”, prevede un colossale sforzo organizzativo al fine di assicurare almeno 500 posti necessari per ospitare nella città di Braunschweig o nei suoi dintorni gli avvocati degli acquirenti delle auto Volkswagen e anche gli alloggi per almeno un centinaio di giornalisti, estratti a sorte tra i vari tipi di “media” che hanno chiesto di essere presenti al processo. Un megaprocesso, quindi, che esordisce tenendo in debita considerazione un’importante sentenza che i giudici della Corte Federale tedesca hanno preso nel gennaio di quest’anno. Essi hanno affermato che l’esistenza di un software illegale nei motori diesel delle auto Volkswagen è un vizio contrattuale che giustifica in pieno il diritto di recesso dal contratto firmato a suo tempo dagli acquirenti. Negli USA la vicenda del software illegale è costata alla Volkswagen oltre 27 miliardi di euro, ai quali la maxi-causa di prossimo inizio a Braunschweig potrebbe aggiungere almeno altri 10 miliardi di euro. Il lato peggiore della vicenda per il gruppo Volkswagen non sarà tanto il denaro che dovrà pagare, quanto il danno che la truffa del software causerà all’immagine di un gruppo automobilistico che continua a vantarsi, pur sottovoce, di essere il più grande al mondo.

Problemi dell’auto elettrica

L’opinione pubblica tedesca è ancora piuttosto perplessa di fronte alla decisione con cui soprattutto la Volkswagen si è avviata sulla strada dell’auto elettrica chiedendo però contemporaneamente senza ritegno alcuno il sostegno finanziario del governo tedesco, in fin dei conti quindi con l’aiuto dei contribuenti. Il motore diesel, come tutti sanno, ha avuto negli ultimi decenni un ruolo non secondario nel primato mondiale dell’auto tedesca almeno fino al 2015 come un mezzo di locomozione assolutamente rispettoso dell’ambiente. Così si affermava a chiare lettere fino a quattro anni fa in occasione del lancio pubblicitario del diesel negli USA pochi mesi prima che scoppiasse lo scandalo scoperto grazie alle autorità americane preposte alla difesa dell’ambiente. Ora tutte le inchieste realizzate negli ultimi mesi confermano che l’opinione pubblica tedesca ritiene che l’auto elettrica assicuri un vantaggio ambientale rispetto alle auto con motore a benzina o a diesel, ma che questo vantaggio non sarebbe così imponente come molti ritengono.

Leggendo tra le righe sembra di capire che l’industria automobilistica tedesca, come la direzione Volkswagen ripetutamente in passato affermava, sia sempre ancora convinta che il diesel possa essere divenire in futuro un motore sufficiente pulito a condizione che l’automobilista sia disposto a investire di più nel suo acquisto, necessariamente sempre più caro rispetto al motore a benzina ma anche più affidabile. Investire nell’auto elettrica potrà essere più conveniente soltanto quando sarà disponibile un’adeguata infrastruttura con la realizzazione di migliaia di punti di ricarica in tutta Europa, fattore determinante quest’ultimo per una svolta verso una prossima mobilità elettrica. Per concludere, non è facile nell’attuale situazione dare un consiglio ai milioni di titolari di un’auto diesel: aggiornare il motore con le spese a carico della casa produttrice, vendere o semplicemente aspettare per vedere se le competenti autorità tedesche decreteranno un “Fahrverbot” delle autovetture incriminate. Ognuno dovrà prendere una decisione tenendo conto dei vari particolari fattori.

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