Autonomia differenziata: Che cosa è e perché ci riguarda

Recita l’ Articolo 116 della Costituzione, comma 3: „Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.“

Giovedì 2 febbraio il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge sull’Autonomia differenziata (Ad) del ministro per gli affari regionali e per le autonomie, il leghista Calderoli in attuazione di quanto sarebbe disposto dall’art.116, comma 3 Titolo V della Costituzione. Il 3 marzo anche la Conferenza delle Regioni ha dato il via libera al testo, con 4 regioni contrarie. Dalle preintese sulle materie oggetto della competenza regionale tra l’allora uscente governo Gentiloni con le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna del 2018, mantenute segrete alla pubblica opinione, passando per il disegno di legge Gelmini, presentato alla Camera nello scorso giugno, che introduceva i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) solo per istruzione, trasporti, sanità e sociale, con il governo Meloni, a monte di un compromesso tra l’aspirazione al presidenzialismo di Fratelli d’Italia e l’ Autonomia leghista, si arriva al recente disegno di legge Calderoli.

Il testo si compone di dieci articoli. Nella bozza si prevede che le Intese Stato-Regioni, valgono per un massimo di 10 anni, sono consentite solo “subordinatamente alla determinazione” dei LEP, che dovranno essere definiti entro un anno con un Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, quindi non da un procedimento legislativo parlamentare, onde garantire su tutto il territorio nazionale gli stessi diritti civili e sociali nelle materie prescelte dalle Regioni. Le Camere hanno ora sessanta giorni per esaminare le intese. Chi è a favore dell’autonomia differenziata, sostiene che trattenere la gran parte del gettito fiscale si traduca automaticamente in una maggiore efficienza nella fornitura di servizi per i propri cittadini e si supererebbe il problema della spesa storica con il passaggio alla spesa standard. Sorge però la domanda di come in un anno si riescano a definire i bisogni standard su tutto il territorio nazionale, quando il divario nord-sud, aree urbane ed aree interne è enormemente avanzato. Inoltre per l’attuazione non sono previsti fondi, come si evince dall’articolo 8 del ddl stesso.

Chi è contrario sostiene invece che si attui così una sottrazione di ingenti risorse alla collettività nazionale e la disarticolazione di servizi e infrastrutture logistiche (come i trasporti, la distribuzione dell’energia, la sanità o l’istruzione), che necessiterebbero di una struttura unitaria e a dimensione nazionale. Le misure perequative per evitare squilibri economici fra le Regioni che aderiscono all’Autonomia differenziata e quelle che non lo fanno non sono poi previste dalla legge di bilancio. Inoltre, anche le regioni autonome sarebbero svantaggiate perché il Sud è un mercato essenziale per il Nord e le ampie differenze interne alle stesse regioni verrebbero aumentate dall’allocazione delle risorse, che andrebbe comunque a premiare le parti più ricche e meglio organizzate, i cui cittadini non saranno messi al riparo da privatizzazioni e ulteriori tassazioni.

Infine sottrarre il gettito fiscale delle regioni autonome alla redistribuzione su tutti i territori violerebbe il principio di solidarietà economica e sociale previsto dalla Costituzione (Art.2 e 3), andando a aumentare le disuguaglianze tra Nord e Sud, portando al tracollo sociale ed economico dei territori più svantaggiati, mettendo in crisi l’intera Italia. La richiesta di Lombardia e Veneto di tutte le 23 materie concorrenziali prelude ad uno stravolgimento dell’assetto unitario del Paese con la regionalizzazione di ambiti di enorme interesse politico, sociale, giuridico, con la conseguente distruzione dei contratti collettivi di lavoro.

E resta il grosso problema del testo “blindato”, che non potrà avere emendamenti in Parlamento, e non potrà essere sottoposto a referendum abrogativo. E poi, quale Regione chiederebbe dopo 10 o 12 anni il recesso dell’autonomia? Probabilmente nessuna. Per questo il progetto viene definito da chi lo combatte un vero e proprio piano eversivo. Per contrastarlo si è costituito dal 2019 il „Tavolo Nazionale NO AD“ che raccoglie tutti i gruppi, movimenti, rappresentanti istituzionali e persone singole che si sono attivati per creare comitati territoriali e coordinamenti regionali al fine di informare la cittadinanza e promuovere proteste e altre forme di lotta.

Da questo non possono e devono essere esclusi i connazionali residenti fuori dal Paese affinché fungano da moltiplicatori nei luoghi d’origine in Italia, tenendo conto che ancora gran parte dei residenti in Italia non è al corrente dello stravolgimento costituzionale che incombe sul Paese.

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