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Recitava un antico adagio: “Non c’è peggior sordo di chi non vuole ascoltare”. Questo antico proverbio ben si addice alla Presidente dell’Unione Europea, Ursula Von der Leyen, che ha sostenuto nei giorni scorsi la necessità di un forte incremento delle spese militari europee sia per sostenere l’Ucraina, ma anche perché i depositi di armi europei sono vuoti. Entusiasmo nel settore armamenti: arriveranno un sacco di soldi e di contratti.

Premesso che non è mai una buona regola dirsi deboli davanti al nemico, fateci però capire un aspetto che sfugge al buonsenso: anche se è comprensibile un rafforzamento della difesa europea, perché, comunque, non se ne parla nemmeno più di un piano di pace per l’Ucraina, ma solo di inviare armi perché richieste in continuazione dal loro presidente Zelensky? Se fosse stato negoziato un anno fa un piano di pace, a quei tempi Putin sarebbe stato più debole, sei mesi fa era già più forte, oggi lo è ancora di più, mentre l’economia europea è in evidente difficoltà. Ma a chi conviene continuare la guerra infinita? Alle Lobby delle armi e della finanza e non solo?

Quindi perché non cominciare a discutere seriamente con Putin, che resta indubbiamente l’aggressore, ma che – alla lunga – sta disastrando l’Europa, come evidentemente voleva e sperava? Quanti anni ancora deve andare avanti questa guerra? Due sono già passati, ne serviranno uno, due o altri cinque? Cosa ci ha guadagnato ad oggi l’Europa a continuarla? Putin ha invaso quattro province ucraine (filorusse) e si è fermato lì, non ha certo più attaccato altri paesi (e forse avrebbe potuto farlo) non perché è “buono” ma perché non gli servono.

Ecco perché sarebbe ora di introdurre alcune ipotesi credibili di accordo e intanto stipulare un armistizio pur SENZA riconoscere i successi di Putin. Così (per l’Europa) ci sarà almeno il tempo di “ricaricare le batterie” e anche di chiarire agli europei cosa stia poi succedendo effettivamente in Ucraina, perché questo non ce lo dice più nessuno (corruzione, stato dell’opposizione, sospensione dei diritti con la legge marziale, no ad elezioni ecc.…).

Ecco allora che una autorevole voce non viene ascoltata, “Vox clamantis in deserto…” ed anzi è travisata. Se il Papa parla di immigrazione – soprattutto ad una certa parte politica va benissimo – ed allora “Viva Bergoglio”, se chiede invece la pace invece non va bene e allora “Abbasso Bergoglio”. Siamo rimasti colpiti dalla strumentalizzazione che si è voluto dare alle parole sacrosante di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina, ovvero che bisogna avere il coraggio di cercare una via d’uscita. Il Papa non ha assolutamente detto che Kiev non sia stata aggredita, che l’Ucraina debba arrendersi o che Putin non sia l’aggressore, ma – a domanda – ha risposto logicamente che bisogna comunque lavorare per la pace e non solo spingere per la guerra. Se qualcuno ha poca memoria si vada e rileggere o risentire cosa diceva San Giovanni Paolo II a proposito della guerra in Iraq o dei bombardamenti NATO su Belgrado, ovvero esattamente le stesse cose, ma – oggi come allora – quando lo diceva “dava fastidio”. Certo che leggere, nello stesso giorno, che l’Italia ha aumentato dell’86% il suo fatturato in armi lascia pensare circa chi ci guadagna, così come il grande aumento delle spese militari nell’UE e dei paesi NATO. Lo abbiamo ribadito e viene ribadito da più parti: si abbia il coraggio di provare a cercare la via di un armistizio e quando lo ripete anche il Papa ci consoliamo: noi non contiamo niente, lui sì; e speriamo qualcuno ci rifletta, anche nei governi occidentali.