Continuare a negare agli automobilisti europei un risarcimento del “dieselgate”, com’è stato dato agli automobilisti americani, costerà molto caro al gruppo Volkswagen. Invece di continuare a sostenere che tutto sia accaduto all’insaputa del vertice di Wolfsburg o che l’industria tedesca abbia semplicemente sfruttato lacune legislative di Bruxelles, come sostiene la cancelliera Merkel, sarebbe stato molto più saggio ammettere l’errore commesso

Nella difficile situazione che l’industria automobilistica tedesca si trova a gestire dopo il “dieselgate”, il gruppo Volkswagen sembrerebbe aver deciso a favore dell’auto elettrica, tenendo conto dei problemi finanziari di una categoria di acquirenti con un potere d’acquisto relativamente contenuto. Una decisione che dopo lo scandalo del dieselgate la Volkswagen prenderebbe per dimostrare di saper avviarsi con la necessaria coerenza sulla strada dell’innovazione. Anche le più “nobili” Daimler e Bmw, dopo essersi mosse con troppa lentezza e indecisione, ora non sembrano aver più dubbi sull’auto su quella puntare nei prossimi anni. Questa è chiaramente l’auto ibrida, vale a dire un’auto dotata di due propulsori, uno con batteria e uno con un motore a combustione, benzina o diesel. Il primo sarà ideale per coprire distanze giornaliere fino a 80 chilometri, il secondo potrà, invece, essere attivato per percorsi più lunghi. Tutto ciò almeno fino al 2030, quando secondo le generali previsioni dovrebbero essere disponibili con un affidabile livello di efficienza e soprattutto con un prezzo accettabile auto con pile a combustibile in grado di convertire l’energia chimica dell’idrogeno in elettricità per la propulsione degli autoveicoli.

Un trend oneroso

Nell’attuale situazione, caratterizzata da un certo disorientamento sul futuro della mobilità automobilistica, i veicoli con trazione ibrida dovrebbero essere decisivi e non soltanto in Germania. E’ uno sviluppo però che Ferdinand Dudenhöffer, considerato come uno dei massimi esperti automobilistici tedeschi, non vede con molto entusiasmo, sostenendo non senza ironia che un’auto ibrida è come portare nello stesso tempo bretelle e cintura. “L’auto ibrida si trascina dietro il peso di due motori, quando sarebbe già possibile percorrere 300-400 chilometri con una sola batteria. Considerando il non indifferente costo di un’auto ibrida, sarebbe troppo chiedere a chi si appresta a percorrere mille chilometri di fare una pausa per ricaricare la batteria?”. Così si chiede Dudenhöffer. La stessa domanda se la pongono anche il produttore della Tesla, Elon Musk, e l’amministratore delegato del gruppo Volkswagen, Herbert Diess, anche se nessuno dei due non può negare che il problema di un’auto a batteria è quello della ricarica. Le previsioni degli esperti per il 2030 sono di una vendita di 120 milioni di nuove auto, di cui 37 milioni a batteria a 27 milioni a trazione ibrida. Le restanti dovrebbero essere auto tradizionali con motore a combustione, destinate comunque a diminuire. Dal 2030, poi, saranno disponibili a un prezzo accessibile auto a idrogeno ma fino a quel momento le auto ibride caratterizzeranno la produzione automobilistica mondiale.

Il problema dei diesel truccati

Attuale e urgente a detta dello stesso ministro tedesco dei Trasporti, Andreas Schleuer, è il problema dell’aggiornamento delle auto diesel vendute fino a circa quattro anni fa, oltre 11 milioni di esemplari, con un software che in occasione dei collaudi falsificava i valori dell’inquinamento dei gas di scarico della vettura. A quanto pare, nessuno sarebbe ancora riuscito a inventare un meccanismo con un costo accessibile capace di far funzionare i vecchi motori diesel nel rispetto delle norme ambientali internazionali. Questa è l’amara realtà: nessuna impresa è stata sinora in grado di farlo. “L’impegno – stando a recenti dichiarazioni del ministro Schleuer – era di approntare un simile meccanismo al più tardi fino a metà di quest’anno, ma evidente le difficoltà incontrate sono maggiori del previsto. Personalmente, ho sempre avuto molti dubbi al riguardo e così ora devo pensare che le mie perplessità non fossero del tutto infondate”, ha concluso il ministro tedesco dei Trasporti.

Le autorità americane addette alla protezione dell’ambiente (EPA) già nel 2014 avevano avviato indagini sul grado d’inquinamento dei motori diesel tedeschi. Fu l’EPA a mettere con le spalle al muro la Volkswagen accusandola di manipolare i dati di emissione dei gas di scarico attraverso l’utilizzo di un’illegale software che durante i test era in grado di far sì che il loro grado di nocività apparisse inferiore ai valori reali.

Naturalmente anche in Europa qualcuno si era accorto che qualcosa non quadrava, ma in almeno in due casi appare abbastanza evidente che le autorità di Bruxelles siano state in un qualche modo allarmate e che una molto efficiente lobby tedesca abbia sia intervenuta mettendo tutto a tacere.

Aggiornamenti poco efficaci

Per quanto riguarda l’Italia, molti proprietari di una vettura diesel Volkswagen sono ancor oggi convinti che i concessionari abbiano già validamente aggiornato i loro motori riducendo l’emissione dei gas nocivi.

Complice anche la stampa italiana che nel timore di perdere introiti pubblicitari si guarda bene dall’andare a fondo di un problema che a quattro anni di distanza dai risultati delle indagini americane continua a non essere risolto, nonostante che i concessionari asseriscano il contrario, ignorando anche le prese di posizione del governo federale tedesco.

Winterkorn sotto accusa

Il processo al Tribunale di Braunschweig a carico dell’ex-ad Volkswagen, Martin Winterkorn, dimessosi il 23 settembre 2015 in seguito al “dieselgate” dovrebbe cominciare a breve. Due giorni prima delle dimissioni di Winterkorn il gruppo Volkswagen aveva cessato di colpo di vendere auto diesel negli Usa provocando in Borsa una forte caduta del titolo Volkswagen.

Ci sono almeno quattro manager di alto rango del gruppo di Wolfsburg pronti oggi a testimoniare che Winterkorn mente decisamente quando afferma di aver saputo della manipolazione dei gas di scarico dei motori diesel soltanto dopo che le autorità americane dell’EPA lo avevano informato di aver definitive prove della truffa. Tre dei quattro testimoni che saranno ascoltati prossimamente dal tribunale di Braunschweig affermeranno, ognuno indipendentemente dagli altri due, che Winterkorn sapeva del software illegale installato nei motori diesel ben prima del 25 settembre 2015 quando l’EPA ne rivelò l’esistenza.

Il dispositivo era installato in tutte le 600mila auto diesel che il gruppo Volkswagen aveva venduto negli USA alla pari dei circa 11 milioni di auto diesel vendute nel mondo e in particolare in Europa negli ultimi anni.

Pericolosa strategia

Chi a suo tempo alla Volkswagen ebbe modo di conoscere Martin Winterkorn se parla come di un manager ossessionato dai minimi dettagli della produzione e di conseguenza si chiede mai gli sia potuto sfuggire il famigerato software. Nessuno riesce a capire come sia stato possibile che la Volkswagen abbia ottenuto dalla Bosch quel raffinato software in grado di ingannare sulle caratteristiche dei gas di scarico di motori diesel. Tutto ciò senza che Winterkorn, come egli stesso asserisce, fosse minimamente informato.

Il processo di prossimo inizio avrà pesanti conseguenze per la Volkswagen, un grande gruppo con l’ambizione di divenire il più grande e importante gruppo automobilistico mondiale. Negli Usa il gruppo di Wolfsburg si è scusato per aver ingannato gli automobilisti, in Europa nessuno ha sentito una sola parola di rammarico. Agli automobilisti americani è andato un pieno risarcimento con la restituzione della somma pagata per il diesel truccato o con la sua sostituzione con un’altra vettura. Agli automobilisti europei sinora nessuna parola di scusa e nel migliore dei casi un aggiornamento del motore che a quanto si dice non pare affatto in grado di assicurare il rispetto ambientale. Il processo di Braunschweig e l’ondata dei processi che lo seguiranno con la regia del famoso e temuto avvocato americano Michael Hausfeld lasceranno a Wolfsburg un segno profondo.

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