La commedia del premio Nobel per la letteratura, Dario Fo, «Non si paga! Non si paga!» del 1974 (rappresentata per la prima volta in Germania nel 1976), mantiene, sorprendentemente e amaramente la sua attualità anche quarant’anni dopo.

Un insieme di critica sociale, e di teatro popolare dell’improvvisazione e dei giochi linguistici che, per due ore, trasporta il pubblico in un tempo-non tempo.

Infatti Johanna Wehner (giovane regista tedesca, già premiata con il Faust) decide di eliminare ogni riferimento storico preciso. Anche i costumi di Elisabeth Vogetseder sono atemporali, con riferimenti ad elementi psichedelici degli anni 70, glamour degli ottanta, ed essenzialità del XXI secolo.

La scenografia, curata dalla Wehner stessa, è chiara. Ambiente tipico delle case popolari , mobili messi insieme alla meglio , dalla funzionalità reinventata e poca attenzione alla pulizia. Antonia (Verena Bukal) e Margherita (Anne Rieckhof) sono due amiche vicine, un po’ stralunate e, sinceramente, un po’ succubi dei propri mariti. Vivono di riflesso e in funzione degli stessi, lasciando poco spazio allo sviluppo e ai desideri personali.

Quando Antonia si trova, per caso, in una sorta di sommossa al supermercato, vi partecipa e si porta a casa tutto ciò che è possibile, senza pagare. Solo quando incontra Margherita, l’amica bigotta, realizza che il marito Giovanni (Thorsten Loeb) potrebbe non solo non gradire l’atto, ma anche denunciarla. Giovanni, in effetti, è una persona rispettosissima della legge, tanto da permettersi perfino di fare la predica morale al poliziotto (Gregor Trakis/Philipp Weigand) che ammette la poca professionalità dei suoi colleghi. Non così Luigi (Sebastien Jacobi), terrorizzato dalla legge, che vede attacchi e pericoli ad ogni angolo, tanto da andare in panico alla era vista di un carabiniere.

Non conoscendo l’allocazione temporale, lo spettatore è portato a pensare che il tutto sia ambientato agli inizi degli anni 2000, al cambio dell’Euro, specialmente per il gioco di parole del doppio e della metà.

Un tempo non-tempo che si sposta continuamente su diversi livelli temporali e che riporta a tempi di crisi, a cellulari e a diversi stereotipi intramontati: il cellulare usato nei momenti meno opportuni, il bisogno che aguzza l’ingegno e l’inventiva e, non da ultima, l’indifferenza alle necessità vere. Risate amare che portano a riflettere. Ma il mondo è davvero questa grossa parodia grottesca?

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